Eppure, lo Spirito Santo (per chi ci crede, o - più semplicemente - la saggezza del collegio cardinalizio) è stato in grado di stupirci ancora una volta individuando colui che oggi, dentro e fuori la Chiesa cattolica, è ritenuto il pastore più adatto a restituire unità alla comunità ecclesiale e soprattutto a metterla in grado di affrontare le complesse e per certi versi drammatiche sfide del mondo di oggi.
Papa Prevost racchiude infatti in sé tutte le caratteristiche necessarie per essere all’altezza di questa difficile scommessa: è un fine teologo formatosi alla scuola di Sant’Agostino; è anche un pastore missionario, per oltre dieci anni vescovo della diocesi di Chiclayo in Peru; conosce bene la curia romana, avendo diretto il delicato dicastero che sovrintende ai vescovi di tutto il mondo; è infine un americano di Chicago, provenienza che inevitabilmente i media di tutto il mondo hanno letto in correlazione a quello che fino all’8 maggio era lo statunitense più famoso del mondo, il Presidente Donald Trump.
Rivolgendosi ai fedeli di tutto il mondo a poche ore dal fatidico “Habemus Papam!” Papa Leone ha mostrato i tratti di una persona mite e gentile ma al tempo stesso portatore di un messaggio chiaro e forte: il suo ripetuto appello ad una pace disarmata e disarmante è apparso a tutti come il primo imperativo di un pontificato consapevole di una missione che va oltre i confini della stessa Chiesa cattolica. Analogamente, la scelta del nome (mai casuale per un pontefice) richiama sicuramente Papa Leone XIII, l’autore dell’enciclica “Rerum Novarum” che segnava storicamente l’inizio della dottrina sociale della Chiesa.
Alla fine dell’Ottocento la rivoluzione industriale si imponeva al mondo come fattore dirompente per lo sviluppo delle società ma anche come elemento determinante della crescita delle ingiustizie sociali; l’Italia in quel periodo fu segnata dalla prima grande ondata migratoria che portò anche la Chiesa cattolica a interrogarsi sulla necessità di una pastorale rivolta ai migranti. E non è un caso che Padre Scalabrini e Madre Cabrini, i due santi delle migrazioni, svolgono in quella fase storica il loro apostolato missionario; e forse non è casuale che Madre Cabrini svilupperà la sua pastorale dei migranti proprio tra Chicago e il Sudamerica, in un ideale percorso spirituale che dopo oltre un secolo il vescovo Prevost si troverà a ripercorrere.
Un Papa dei migranti quindi, figlio di emigranti francesi e italiani, ma anche un Papa missionario, forgiatosi nella profonda esperienza tra i poveri del Peru. Un Papa dei ponti e non dei muri, infine, che dovrà affrontare l’egoismo e il cinismo di una società dove sempre più spesso l’immigrato viene considerato una minaccia e non un’opportunità per la costruzione di un mondo migliore.
In un mondo orfano di leader e minacciato dalla paura, Papa Leone si presenta come l’unica vera e credibile speranza di pace e di giustizia. Che i potenti della terra lo ascoltino, con coraggio e senza ipocrisia.