(quirinale.it)

di GIANPIETRO OLIVETTO

Non è Francesco (nello stile, nei gesti, nel carattere) ma è in piena continuità con Bergoglio, che aveva scommesso su di lui e con il quale s'era creato un rapporto di amicizia e reciproca stima.

Figlio di immigrati, missionario, uomo di governo e di curia, cosmopolita, laureato in matematica e filosofia. E' americano di Chicago ma anche cittadino del Perù, dove ha vissuto per molti anni, e durante la sua attività di sacerdote agostiniano e vescovo ha conosciuto l'opulenza, le periferie e la miseria, i problemi dell'emisfero nord e di quello sud. Papa Prevost è uomo pragmatico, mite ma deciso, capace di ascolto, abituato a mediare, dotato di visione globale come indicano la biografiaN(madre spagnola, padre franco/italiano), il suo variegato profilo e le esperienze di una vita crocevia di culture. E' uno sportivo e ricorda in alcuni tratti Wojtyla (qualcuno auspica che come Giovanni Paolo II faccia cadere muri e ideologie). Riservato e meno impulsivo rispetto al Pontefice argentino, ma altrettanto semplice e spontaneo, saldo nei princìpi, deciso a guidare, in linea con la tradizione, una Chiesa accogliente, attenta ai problemi sociali, della gente e di chi è in difficoltà, aperta al dialogo e al mondo.

Leone XIV, che appena divenuto prete ha scelto di andare a vivere tra i poveri e che meno di un mese fa è diventato, a sorpresa, il primo Papa statunitense - ipotesi fino a ieri impensabile, realizzatasi prima, solo grazie ad una serie tv - è figura rassicurante, che ispira fiducia e simpatia.

Ha mostrato, nei suoi atti e negli impegni di avvio pontificato, una personalità decisa e carismatica ed ha già conquistato milioni di fedeli. Sin dal momento – erano le 19.23 dell'8 maggio - in cui è apparso alla Loggia centrale della basilica vaticana, visibilmente emozionato e con in mano gli appunti. “Pace...Pace a voi” la parola d'avvio, ripetuta ben nove volte. Poi il ricordo di Francesco, la volontà di essere ponte, di creare ponti (come del resto indica il nome Pontefice), la necessità del dialogo. Un intervento, quello del “figlio di Sant'Agostino”, in italiano e spagnolo, ma non in inglese. Poco più di un'ora prima, alle 18.07, la terza fumata, inequivocabilmente bianca, giunta al termine di uno dei più brevi conclavi degli ultimi 150 anni: ventiquattr'ore appena. Il cardinale Francis Robert Prevost, 69 anni, è stato eletto al quarto scrutinio, come accaduto il 13 aprile 2005 per Benedetto XVI. E com'era avvenuto, il 26 agosto 1978, con Albino Luciani, il Papa dei 33 giorni (Karol Wojtyla era stato invece scelto all'ottavo spoglio, il 16 ottobre). Il 267.mo successore di Pietro ha voluto prendere un nome che sa di Ottocento e che rimanda ad una lunga storia di Pontefici. Dal primo, Leone Magno, colui che fermò Attila, al penultimo, Leone XIII il Papa della “Rerum Novarum”, l'enciclica del 1891 sul mondo del lavoro e la condizione operaia, che poneva le fondamenta della dottrina sociale della Chiesa e dava impulso alle prime forme di associativismo e di impegno politico dei cattolici. “La Chiesa oggi – ha detto Papa Prevost, chiarendo ai cardinali il perchè del nome Leone e lasciando intendere che forse ci sarà un'enciclica ad hoc – deve rispondere ad un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”. Il cardinale peruviano/statunitense non era certo tra i favoriti. I bookmakers davano un americano eletto al 3% delle probabilità. I papabili erano altri: il filippino Tagle, gli spagnoli Artime e Lopez Romero, l'ungherese Erdo, il francese Aveline, il maltese Grech, ma soprattutto i tre italiani Zuppi, Pizzaballa e Parolin, con qualche chanche in più per il vicentino di Schiavon. Il segretario di stato – che Leone XIV ha per ora confermato nell'importante incarico – ha svolto un ruolo da protagonista nel conclave iniziato in Cappella Sistina con l'”extra omnes”, alle 17.50 del 7 maggio. In assenza del decano del sacro collegio Re e del suo vice Sandri (esclusi perchè ultraottantenni) è toccato a lui, in quanto cardinale anziano dell'ordine dei vescovi, guidare l'assemblea degli elettori. Ed è spettato a Parolin formulare al neo prescelto le due domande rituali: “Accetti la tua elezione?” e “Come vuoi esser chiamato?”. Nel toto Papa, il vicentino risultava in testa. E forte di un consistente pacchetto di consensi iniziali, avrebbe potuto probabilmente farcela se non ci fossero stati i veti di alcuni autorevoli porporati stranieri e le divisioni negli elettori italiani. Resosi conto che il quorum rimaneva irraggiungibile, sarebbe stato lo stesso Parolin, dopo il terzo scrutinio e durante la pausa pranzo, a fare un passo indietro e a far convergere le proprie preferenze su Prevost, il meno statunitense dei cardinali Usa, molto conosciuto e stimato ovunque, specie da quando era diventato membro delle congregazioni per il clero e per i vescovi e poi presidente della commissione per l'America Latina, nonchè prefetto del dicastero per i vescovi. Sul cardinale agostiniano si sarebbero riversati compatti anche i voti dei porporati dell'America, sia del nord che del sud. Alla quarta votazione il consenso nei suoi confronti è cresciuto come un'onda sino a superare – si dice – molto più dei 100 voti. Parolin e Prevost si conoscono da tempo, si stimano e nei rispettivi ruoli hanno collaborato per anni “Di lui neo eletto - ha scritto in una lettera al Giornale di Vicenza il segretario di stato – mi ha colpito la serenità che traspariva dal volto in momenti così intensi e, in un certo senso, drammatici, perché cambiano totalmente la vita di un uomo...Il nuovo Papa – sostiene Parolin - ha ben presenti i problemi del mondo d'oggi...Credo che Leone XIV troverà nella sua grande esperienza di religioso e di pastore, come pure nell'insegnamento e nella spiritualità di Agostino, le risorse per lo svolgimento efficace del ministero che il Signore gli ha affidato, a bene della Chiesa e dell'umanità intera".

L'avvento di Leone XIV al soglio pontificio accontenta sia i progressisti che i conservatori. Lascia indifferenti quanti credono che la religione sia irrilevante o inutile superstizione e scontenta quei potenti che costruiscono muri e si impegnano in guerre, esercitano violenze e ingiustizie, offendono l'ambiente e la dignità dell'uomo, non rispettano poveri e migranti, ignorano il cambiamento climatico. Il nuovo Papa insiste nel ricordare i cardini della fede e la centralità della figura di Cristo.

Le sfide che lo attendono sono molte. L'unità della Chiesa e la collegialità, l'evangelizzazione in società sempre più secolarizzate o postcristiane, l'Occidente dalle chiese vuote, il confronto con le altre religioni e culture, la lotta agli scandali, il contrasto al relativismo e non da ultimo la trasparenza e la sana gestione finanziaria. Non c'è solo infatti un'emorragia di vocazioni e di anime, ma anche una profonda crisi nei conti vaticani. L'ultimo bilancio pubblicato della Santa Sede, quello del 2023, parla di un buco di 84 milioni. E il fondo pensioni ha un debito di circa 1 miliardo e mezzo. Un Papa matematico, che sa di economia e ha doti amministrative potrebbe forse aiutare a risanare le perdite. I seguaci di Agostino d'Ippona – il santo del IV secolo, uno dei massimi filosofi della cristianità, autore de “La città di Dio” e “Le Confessioni” e di una celebre frase, “Ama e fa ciò che vuoi”, spesso fraintesa - sono persone determinate. Agli inizi del Cinquecento uno di loro, il monaco Lutero, si staccò da Roma dando inizio alla Riforma protestante (e fu scomunicato nel 1521 da un altro Papa Leone, Leone X). Cinque secoli dopo tocca all'agostiniano arrivato al vertice della Chiesa tentare di ricucire strappi e divisioni, proseguire sulla strada di Francesco, attuare quelle riforme di cui l'istituzione millenaria ha bisogno per testimoniare con credibilità il messaggio cristiano e, forse, per rendere migliore questo mondo