di FILIPPO LIMONCELLI
Anche se Donald Trump e Ursula von der Leyen parlano di un “grande accordo” utile a riequilibrare le distorsioni del commercio globale, per il Made in Italy si profila un momento complicato. I dazi generalizzati al 15% imposti dagli Stati Uniti rischiano di colpire duramente le esportazioni italiane, soprattutto in settori chiave come alimentare, farmaceutico e componentistica. L’accordo siglato, infatti, prevede esenzioni da definire — con liste di prodotti ancora da stilare — ma nel frattempo l’aumento delle tariffe può rappresentare un freno competitivo enorme.
Le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti valgono oggi circa 65 miliardi di euro. Un decimo di questa cifra, almeno 10 miliardi, potrebbe essere a rischio, a meno di non riuscire a diversificare i mercati di sbocco. La dinamica potrebbe rivelarsi ancor più penalizzante se le imprese, per rimanere concorrenziali, dovessero assorbire parte dei costi aggiuntivi tramite sconti, erodendo così i propri margini di profitto.
Il tutto avviene in un momento positivo per l’export italiano, cresciuto del 30% negli ultimi cinque anni, raggiungendo i 623 miliardi di euro nel 2024. Tuttavia, l’impatto delle nuove tariffe sul PIL dovrebbe restare contenuto: secondo alcune stime, potrebbe valere circa un decimo di punto nel 2026 e 2027.
I settori colpiti e le prime incognite
Il comparto alimentare rappresenta uno dei più esposti. Le esportazioni agricole e alimentari italiane verso gli USA valgono 8 miliardi di euro. Prodotti simbolo del Made in Italy, come Parmigiano Reggiano e Grana Padano, erano già soggetti a dazi del 15%, ma ora il rischio si estende a molte altre categorie. È possibile che alcuni prodotti agroalimentari rientrino tra le esenzioni, ma l’elenco è ancora da concordare.
Nel settore automotive, la situazione è leggermente meno grave: i dazi passano dal 25% al 15%, rappresentando una riduzione rispetto alla tariffa attuale. L’Italia esporta negli Stati Uniti circa 75 mila autovetture l’anno per un valore di 4 miliardi di euro, oltre a 1,2 miliardi in componentistica. Tuttavia, la presenza tedesca in questo settore è molto più forte, lasciando le imprese italiane in una posizione più marginale.
Sul fronte farmaceutico, il danno è pesante. L’Italia esporta circa 10 miliardi di euro l’anno in farmaci verso gli USA. Nonostante l’accordo abbia salvato almeno in parte i farmaci generici, esenti da dazi, quelli coperti da brevetto saranno soggetti alla tariffa piena del 15%. Un colpo importante per un settore in crescita costante.
Tecnologie, energia e risorse strategiche
Anche i semiconduttori saranno colpiti dai nuovi dazi, seppure con alcune eccezioni. Le apparecchiature per la produzione di semiconduttori rientrano tra le categorie a tariffa zero, ma per i materiali e componenti non ci sarà esenzione generalizzata. Trattandosi di elementi essenziali per settori strategici — come difesa, telecomunicazioni ed energia — l’impatto potrebbe ripercuotersi anche sulla filiera industriale più avanzata.
Per quanto riguarda le terre rare e le materie prime critiche come il litio, l’accordo prevede l’azzeramento reciproco dei dazi. È un segnale importante sul piano geopolitico: la cooperazione Usa-Ue su questi elementi chiave appare sempre più centrale, anche alla luce delle tensioni con la Cina e della necessità di garantirsi autonomia tecnologica.
Sul fronte energetico, l’intesa ha un peso notevole. L’Unione Europea si è impegnata ad acquistare 750 miliardi di euro in energia americana nei prossimi tre anni — 250 miliardi l’anno — con l’obiettivo dichiarato di sostituire definitivamente il gas russo. Come ha confermato von der Leyen, l’intesa rappresenta un cambio di paradigma strategico: l’Europa punta ora su GNL e petrolio statunitensi.
Infine, nella siderurgia, il presidente Trump ha chiarito che “non cambia niente”. I dazi su acciaio e alluminio resteranno al 50%. Per l’Italia l’impatto sarà limitato, poiché l’export si era già ridotto notevolmente dopo l’introduzione dei dazi nel 2018. Tuttavia, alcuni segmenti, come quello dell’alluminio, continuano ad avere uno sbocco nel mercato americano, seppur marginale.