di GIORGIO OLDOINI
Il peso della piazza nella politica di oggi: perché solo Netanyahu e non Putin bersaglio dei cortei. Comincerò con una domanda: che senso ha chiamare i cittadini al voto ogni cinque anni, se poi le decisioni politiche possono essere messe in discussione da qualsiasi gruppo vociante in grado di organizzare il dissenso?
La risposta che solitamente si dà a questa domanda è la seguente: le manifestazioni popolari sono ammesse dalla Costituzione e rappresentano il “sale” delle democrazie.
Non voglio discutere sugli abusi di questo diritto costituzionale da parte delle infinite categorie che avanzano pretese in materia economica e sociale.
Le manifestazioni di categoria hanno peraltro una “paternità” ben definita. Le riunioni oceaniche dei sindacati e dei partiti ad essi collegati negli anni sessanta, rappresentavano la sinistra intera. Nella cultura di quel periodo si legittimavano le manifestazioni di piazza quale espressione della maggioranza del paese.
Ai nostri giorni le teste d’uovo del campo largo hanno fatto un’invenzione “rivoluzionaria”: i cosiddetti cortei “mixage”, che perseguono rivendicazioni “multiple” di cui gli organizzatori rivendicano la “paternità”.
Le manifestazioni Pro Pal organizzate da Landini, che senso hanno? Cosa c’entra la lotta sindacale con la Palestina? Se un sindacalista vuole partecipare a un corteo pro Pal può sempre farlo a titolo personale.
Il sindacato fa politica
La ragione della partecipazione del sindato è semplice: i cortei dei soli lavoratori bloccano il traffico ma non riempiono le vie cittadine e quindi bisogna farli coincidere con altre proteste che richiamino le folle.
Con il risultato che non è possibile distinguere i vessilli della GGIL da quelli a favore dei palestinesi. In Italia, solo un politico “visionario” potrebbe attribuirsi il buon fine della manifestazione.
Esiste peraltro una cartina di tornasole per giudicare il successo dell’iniziativa, ossia l’effettivo “ritorno elettorale” per i partiti che hanno organizzato i cortei. In una democrazia compiuta, se riempi le piazze ma non le trasformi in seggi, hai perso la partita.
Il tentativo di “accreditarsi” la piazza non ha portato fortuna ai candidati del campo largo nelle ultime due elezioni Regionali.
Partecipare ad una manifestazione per un nobile fine è quanto di più meraviglioso possa esistere in un sistema di libertà.
Tuttavia, occorre capire bene cosa chiede la gente che va a sfilare nei cortei. I manifestanti Pro Pal volevano farla finita con gli eccidi di popolazioni inermi, ma pochi di loro giustificavano i fatti del sette ottobre e il terrorismo.
L’aspetto qualificante di una manifestazione è la “coerenza” degli obbiettivi perseguiti.
Nessuno pensa alle stragi in Ucraina
Che i manifestanti volessero il ritiro delle truppe israeliane senza se e senza ma, lo dicevano solo gliorganizzatori/finanziatori che inneggiavano al sette ottobre.
I cortei hanno avuto l’unico effetto di seminare l’odio verso gli ebrei. Che di questo si tratti mi pare evidente.
Putin è stato raggiunto da un mandato di cattura dalla Corte Penale internazionale al pari di Netanayu, ha aggredito l’Ucraina, ha bombardato con armi letali le abitazioni civili, si rifiuta di sedersi a un tavolo di trattativa per la pace, minaccia l’Europa, dichiara di disprezzare le democrazie e vuole un nuovo “ordine” che può significare la Terza guerra mondiale. Eppure, nessuno si sognerebbe di minacciare la vita dei cittadini russi residenti in Europa o fare attentati alle chiese ortodosse.
L’altro fattore unificante dei cortei è quello di individuare con certezza i soggetti in grado di realizzare le richieste dei dimostranti.
Se qualcuno in Europa organizzasse manifestazioni per bloccare i dazi americani, verrebbe ricoverato alla neuro anche se la partecipazione popolare arrivasse al limite di capienza delle piazze.
Allo stesso modo, se la Meloni sospendesse i rapporti economici e diplomatici con Israele e riconoscesse a pieno titolo uno Stato che non esiste, i palestinesi non ne trarrebbero alcun beneficio, perché la loro sorte è nelle mani degli americani e degli Arabi.
La stessa Europa è irrilevante nel conflitto ucraino che sarà deciso solo da Putin e da Trump. A tale conclusione arrivano molti più elettori di quanti hanno sfilato nei cortei.
Eppure, qualche buontempone, ha trovato il tempo di denunciare la Meloni per crimini di guerra in “concorso” con il leader israeliano, il quale sta facendo la sua parte nel difficile processo di pace.
Non bisogna prendere sul serio questi attacchi, perché in Italia la demonizzazione dell’avversario non ha valenza ideologica o religiosa, ma solamente economica.
Il termine “vocazione di governo” elaborato dal PD, significa che questo partito vive come un lutto la sconfitta elettorale persino in enti inutili come le Regioni. La sconfitta fa perdere migliaia di posizioni di governo e di commesse pubbliche che servono a mantenere gli “apparati” e a retribuire i “dirigenti”. Il che, ovviamente, vale anche per la destra.
Persone come Giuseppe Conte affermano che le manifestazioni Pro Pal sono state fondamentali per il piano di pace e fanno l’esempio della guerra in Vietnam, allorché in tutto il mondo le persone scendevano in strada contro gli Usa. Ma questo è falso.
L’unica “piazza” presa in considerazione da Kissinger per firmare il trattato di pace di Parigi è stata quella americana.
Sono state le famiglie dei 58.000 soldati statunitensi uccisi, dei 153 mila feriti e i 150 miliardi di dollari spesi, a far finire la guerra. Non i quattro milioni di morti vietnamiti.
In linea con la politica dei cortei, numerosi sindaci e docenti universitari conferiscono cittadinanze onorarie e lauree “honoris causa” a personaggi che considerano Israele responsabile unico dei dramma medio-orientale.
È questo il caso di Francesca Paola Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati. L’unico ruolo che potrà svolgere l’Onu è quello di gestire gli aiuti alimentari alle popolazioni affamate assieme alla Croce Rossa. L’Onu è un ente irrilevante nelle trattative di pace, perché esiste il diritto di veto. Quindi la d.ssa Albanese è una persona irrilevante che ricopre un ruolo in un ente irrilevante. Essa fa parte della schiera dei “cattivi maestri”.
Se a un personaggio simile fosse stato richiesto di trovare un compromesso tra le parti contendenti, la guerra sarebbe continuata all’infinito.
L’altro assioma degli intellettuali “impegnati” è che le piazze sono valvole di sfogo dei più sani impulsi giovanili, dell’esigenza di esprimere valori di giustizia universali che travalicano la sfera d’azione della politica.
Negli anni Trenta, i giovani andavano a combattere per i propri ideali. Durante la guerra civile spagnola migliaia di ragazzi di circa cinquanta nazionalità entravano nelle Brigate internazionali o nei gruppi di destra e ci lasciavano la vita.
Numerosi sono gli ebrei europei e americani che si sono arruolati nell’esercito israeliano, mentre Hamas accetta solo musulmani disposti a praticare il terrorismo.
Il terrorismo non l’ha inventato Hamas bensì una setta di giudei che lottavano per liberarsi dal dominio di Roma due millenni or sono. I cosiddetti “sicarii” si nascondevano nella folla per assassinare, a caso, la gente del popolo. I “sicarii” causarono la morte di un milione di giudei, per avere rifiutato le proposte di tregua dell’esercito romano.
Sembra di avere messo indietro le lancette della storia: i “filistei” (gli attuali palestinesi) e i “giudei” (gli israeliani) si affrontano all’ultimo sangue per questioni di territorio e di religione. La spada dell’Islam contro il Verbo di Jahvè.
Solo che il conflitto non si limita ai due paesi ma è diventato “globale”. Gli Stati arabi e i superstiti di Gaza che festeggiano l’accordo voluto da Trump, accettano di buon grado il disarmo dei terroristi che i manifestanti italiani paragonano ai partigiani.
Il problema che si pone è il seguente: dopo che i terroristi si saranno trasferiti lontano dai confini di Israele, chi ci garantisce che le bande di assassini non si organizzeranno per ricattare l’Italia e l’Europa, che non dispongono di adeguate difese?
La politica dei governi italiani all’epoca di Moro di pagare i terroristi dell’Olp, non evitò l’attacco alla Sinagoga di Romak del 9 ottobre 1982 che causò la morte del piccolo Stefano Tachè e il ferimento di 37 persone. Un episodio uscito dalla nostra memoria collettiva che ci è stato ricordato dal presidente Mattarella.
Una organizzazione terroristica non tratta mai, perché ogni “compromesso” equivarrebbe alla sua estinzione. La parte più problematica del piano di Trump è quella di avere messo al centro delle trattative i terroristi di Hamas e di pretendere poi l’autoliquidazione del movimento.
Non dimentichiamo che i pragmatici svedesi avevano dato il premio Nobel per la pace al terrorista Arafat per i suoi sforzi nel promuovere gli accordi di Oslo del 1994.
Sullo stesso piano, le sette religiose israeliane respingono il piano di Trump. L’integralismo religioso costituisce la parte buia della civiltà di ogni tempo. L’assassinio di Rabin da parte degli estremisti religiosi ha fatto arretrare di secoli la storia di un paese considerato democratico.
La manifestazione nazionale dell’altra settimana era dunque priva di “identità unificante” perché si limitava a considerare il dramma di Gaza ma non affrontava l’altro problema immanente: la liberazione del mondo dal terrorismo. Landini era un semplice spettatore che passava per caso.
Il più riuscito slogan ad uso delle folle, concepito in campo “democratico” durante la persecuzione giudiziaria di Berlusconi, era questo: “bisogna difendersi nel processo, non dal processo”.
L’affermazione è priva di senso perché chi entra nel tritacarne di un’indagine penale deve spendere i risparmi di una vita per difendersi e attendere tre gradi di giudizio per conoscere il proprio destino. Come ben sapevano le centinaia di amministratori delle cooperative “rosse” indagati per falso in bilancio.
Sto parlando, lo avrete certo capito, di Ilaria Salis. Plaudo alla decisione del Parlamento europeo perché la giustizia e le carceri ungheresi somigliano molto a quelle italiane.
Rilevo tuttavia che la competenza dei giudici ungheresi deriva dalle martellate alla testa di un “nazista” in terra magiara. La Salis, che denuncia un complotto ai suoi danni, se innocente non avrebbe avuto nulla da temere, come sta scritto nei Vangeli della stessa corrente politica di cui essa fa parte.
Rilevo infine che l’immunità è dipesa dallo scrutinio segreto e dai franchi tiratori che la sinistra ha sempre combattuto per ragioni etiche.
Spero che la Salis senta l’impulso, magari tenuto segreto, di portare un fiore sulla tomba del Cavaliere.