di FRANCO MANZITTI
Se ne è andato nel sonno, come avrebbe voluto, a 81 anni non ancora compiuti, Marco Benedetto, genovese di Castelletto, come amava ricordare sempre, giornalista e sopratutto grande manager editoriale, amministratore delegato del gruppo “Espresso- Repubblica” fino al 2009, prima amministratore delegato della “Stampa” e capo dell’ufficio stampa di Gianni Agnelli.
E’ difficile ricordare un amico fraterno dai tempi della scuola,tanto è intenso il percorso professionale di un uomo come Benedetto, nato giornalista, diventato poi un grande esperto di editoria, al fianco di personaggi come Giovanni Giovannini, come Carlo Caracciolo, il suo grande partner in operazioni che hanno segnato la storia dei giornali in Italia e infine Carlo De Benedetti, il suo ultimo presidente.
E’ difficile ricostruire tutta la sua personalità, fino ai giorni nostri,quando Marco Benedetto era tornato giornalista in pieno, con il suo Blitzquotidiano, giornale on line, che vive grazie a lui dal 2009, e con gli articoli che “Il Secolo XIX” stava pubblicando, facendolo tornare a casa, nella sua amata Genova.
Nessuno come lui conosceva l’anima dei giornali, nei quali aveva incominciato da ragazzo, studente all’Università, prima di Matematica poi di Scienze Politiche, brillantissimo, il più brillante di tutti a scuola nel liceo Classico Cristoforo Colombo.
I primi passi a “Il Corriere del Pomeriggio” e poi nel quotidiano cattolico “Il Cittadino”, poi l’Ansa, a Genova e a Londra, dove un talent scout come Giovanni Giovannini aveva subito capito la capacità di quel ragazzo genovese e se lo era portato a Torino, dove era incominciata la sua scalata. Troppo bravo per scrivere solo le notizie, troppo abile e veloce, subito in grado diamministrare i giornali, dopo essere stato al fianco di Gianni Agnelli, ed anche di Umberto, in tempi durissimi per la Fiat, quando si organizzava la marcia dei 40 mila. Era la “voce” di quella Fiat, vicino sopratutto a Gianni Agnelli, di cui ha scritto ricordi unici, impareggiabili, che solo il suo riserbo finale non ha reso pubblici.
Ma forse la grande impresa di Marco è stata, dopo il suo arrivo,anche un po’ improvviso, all’”Espresso”, la sintonia perfetta con Carlo Caracciolo, “il principe”, editore sopraffino con il quale la convergenza è stata perfetta, in una simbiosi professionale e anche personale nella loro diversità, che ha costruito un vero impero intorno a “Repubblica” e all’ Espresso”, che crescevano,crescevano in quegli anni Ottanta- Novanta del grande
Profondo conoscitore di uomini e giornalisti, Marco sceglieva direttori e amministratori, affiancato da giganti del mestiere, come ovviamente Eugenio Scalfari, Piero Ottone, Mario Lenzi, Lio Rubini e tanti altri con i quali aveva rapporti decisi, forti ma anche molto autonomi.
Era il capo , “il maestro” di una squadra forte, che negli anni è cresciuta e che lui dirigeva come un’orchestra, nei suoi due mitici uffici, quello di Piazza Indipendenza, non nel palazzo di Repubblica ma saggiamente a fianco e quello romantico di via Po’, la “casa madre” dell’”Espresso” .
Quante figure di giornalisti e amministratori e pubblicitari e tecnici di stabilimenti tipografici, sono passate e cresciute alla scuola di Marco Benedetto?
Dai grandi scelti e coccolati, come Bernardo Valli e Giampaolo Pansa, per citarne solo due, ai tanti scelti con cura e seguiti uno a uno, tra sfuriate e abbracci e grandi cene e pranzi, che amava organizzare per stare vicino a tutti. In particolare anche Ezio Mauro, il direttore dopo Scalfari, una amicizia nata a Torino e rimasta intatta in tanti anni.
Marco Benedetto si è inventato la rivoluzione del lunedì, facendo uscire “Repubblica” in quel giorno, fino ad allora proibito, ma prima aveva lanciato il giornale tutto color , quando sembrava un’impresa complicatissima, ha inventato i femminili e lanciato il “Venerdì”, insieme a una pioggia di inserti.
Un’altra scelta chiave erano state le radio, che esistevano già nella galassia Espresso, ma sulle quali aveva scommesso di più,lanciando radio Dejj e Radio Capital ed anche una tv, che sarebbe potuta diventare la sua impresa conclusiva, se non fosse poi uscito dal gruppo nel 2009.
Marco è stato un grande mediatore sindacale, instancabile trattativista nelle vertenze con i giornalisti e con i poligrafici. Una specie di stella polare per tutto il sistema editoriale italiano.
Cosa pensa Marco? Era la domanda che si ponevano negli altri grandi gruppi editoriali, di fronte a vertenze e passaggi chiave di un mondo che allora prosperava.
Dopo, finita anche un po’ bruscamente la sua storia dentro al grande gruppo, la vicenda del grande “costruttore di sistemi editoriali”, come era stato brillantemente definito, Marco si era ritirato nel suo splendido palazzo di Largo in Priscinula, davanti alla Isola Tiberina, al cui piano inferiore, sotto un elegante porticato, di fianco a una vasca termale, c’era la redazione di Blitzquotidiano, la sua creatura, curata fino all’ultimo giorno come un perfetto editore- direttore-
Non aveva accettato più alcun incarico e alcun ruolo, se non quello di dedicarsi alle sue passioni di lettura e studio, nelle quali fare il giornale era sempre la più importante.
Aveva per Genova un amore viscerale, una nostalgia razionale, coltivata con tanti amici come me, come Andrea D’Angelo, come Stefano Mignanego, Giamba Mattarana, Giorgio Alfieri, i suoi referenti quasi quotidiani.
Nel 1988, forse anche per questo amore, aveva convinto il gruppo prima a intervenire nell’azionariato del glorioso “Il Lavoro”, che si trovava in cattive acque e poi a acquisire tutta la testata. Per poi nel 1992 trasformarla in una edizione ligure di “Repubblica”, con un’operazione coraggiosa, che aveva salvato decine di posti di lavoro e portato a Genova una voce cosi importante che vive ancora da più di trenta anni.
Non dimenticherò mai il giorno in cui piombò a Genova da solo e in una piccola pizzeria di via Donghi, dove c’era la sede de “Il Lavoro”, chiese a me, che ne ero il direttore, se mi sentivo di trasformare quello storico giornale in una costola di Repubblica.
Genova è stata nel suo cuore fino all’ultimo. Scambiavamo quotidianamente notizie sulla città, sul suo passato e sul suo futuro. Era molto incuriosito della figura di Silvia Salis.
Le sue visite si erano un po’ rarefatte negli ultimi anni. Quando arrivava le tappe d’obbligo erano Castelletto e la Madonna della Guardia, il Santuario, cui lo legava una riconoscenza particolare e una fede forte, molto dialettica e profonda.
Quando mi è arrivata la terribile notizia della sua morte improvvisa avevo appena incominciato a scrivere il mio settimanale articolo per il suo Blitz. Ero alla terza riga e quell’articolo non lo finirò mai. Al suo posto ho scritto questo con il cuore spezzato.
Ciao Marco, amico di tutta la vita, non solo maestro.
