Matteo Salvini (foto depositphotos)

di Ugo Magri

Una ventina di giorni fa Salvini si consulta con persone fidate: “Tutti non fanno che parlare di guerra. E se invece io cominciassi a ragionare di pace?”. L’idea non è male, gli viene risposto, ma ci vorrebbe un aggancio concreto. “A Mosca l’aggancio ce l’ho, si tratta di Lavrov, il capo della diplomazia”, butta lì Matteo. Ottima carta a patto che non te la giochi da solo, è il dubbio (profetico) dell’interlocutore: “Metti il tuo contatto a disposizione del governo, altrimenti rischi un trappolone come nel famoso viaggio in Polonia”. Il Capitano - raccontano fonti attendibili - finge di stare a sentire e poi fa di testa sua, cioè il rovescio; prova a negoziare la pace in proprio, col flop che sappiamo.

L’episodio esemplifica un modo di procedere. L’uomo le prova tutte per tornare in sintonia con la gente. Cerca l’idea magica che lo faccia risalire nei sondaggi. L’ansia di superare la Meloni lo induce a strafare; cosicché trasforma l’oro in qualcos’altro. Re Mida alla rovescia. All’inizio non era così. Salvini prima maniera non perdeva un colpo. Perfino le sue mosse più azzardate sembravano geniali, come capita a chi incarna il nuovo e lo conoscono appena. Tre anni fa di questi tempi la Lega guardava i rivali dall’alto in basso, grazie al 34,2 per cento delle Europee; secondo illustri sondaggisti, con il trend attuale tra un anno scenderà al 12, forse addirittura al 10; metà della Meloni.

L’allora ministro del governo giallo-verde riempiva le piazze, surfava l’onda dei “social”, faceva il fenomeno; l’altro giorno, in piazza ad Aviano, ha radunato un’ottantina di astanti e, a quanto risulta, in molti posti dove si vota farebbero a meno della sua presenza. Salvini comizia ovunque, se non lo chiamano si auto-propone. È convinto che risalire la china sia questione di propaganda. Progetta un autunno di fuochi d’artificio. Inoltre l’immigrazione ha stancato, servirebbero suggestioni più fresche, idee nuove e originali per la campagna elettorale. Ecco perché si affida a vulcani come Francesca Immacolata Chaouqui, oppure l’avvocato Antonio Capuano.

Facile accusare loro di averlo ficcato nei guai; e se invece il problema fosse proprio Salvini con la sua bulimia comunicativa, accompagnata da quel modo di procedere erratico, imprevedibile, impulsivo, precipitoso? Indizio numero uno: il calo della Lega combacia con l’indice di gradimento del leader. Tre anni fa Salvini era osannato da 40 italiani su cento, ora da 25 (per confronto: Giorgia sta a quota 30, Super Mario a 50). Molta gente si è ricreduta, milioni di elettori hanno girato le spalle. Intendiamoci: Matteo non è il primo né sarà l’ultimo che troppo in alto sale; l’altro Matteo, Renzi, ha seguito la stessa parabola per ritrovarsi oggi coi quattro gatti di Italia Viva. Talvolta manca un vero perché: dopo una gran de infatuazione subentrano gli sbadigli, la gente reclama facce diverse.

Nel caso del Capitano si aggiunge la critica di lasciare le cose a metà, mai che ne porti a termine una. Stava bloccando gli sbarchi e ha combinato il Papeete. È partito in quinta sulla flat tax accontentandosi di qualche scioglilingua sul Catasto. Da paladino delle partite Iva Salvini è diventato l’avvocato dei balneari. Cento ne pensa una ne fa. Sta al governo con un piede dentro e l’altro fuori. Con i no-vax e con i no-green pass. Con l’Occidente e anche con il Cremlino: una giostra continua. Ultimamente s’è intestato i referendum sulla Giustizia, salvo dimenticarsi perfino quelli ammessi dalla Consulta. Se il mondo si convince che sei fatto così, creativo ma pasticcione, tanto generoso quanto arruffato, sempre a caccia di effetti speciali, diventa poi difficile riavvolgere il nastro, rimettere il dentifricio dentro al tubetto. Il giudizio ti resta tatuato addosso.

Anche qui, niente di inedito. Ai politicanti di una volta era chiaro che il potere logora, ogni tanto conviene inabissarsi (salvo riemergere al momento giusto). Perfino Giulio Andreotti, sette volte premier, quando non era al governo cercava di farsi dimenticare, e dimenticare i suoi peccatucci. Il Berlusconi degli anni d’oro si centellinava sotto elezioni, salvo sparare tutte le cartucce nelle ultime settimane prima del voto sfruttando l’effetto ritorno, “Silvio is back”: esattamente agli antipodi di come si regola oggi Salvini. Per rigenerarsi Matteo dovrebbe scomparire. Rinunciare per un tot alle trovate estemporanee. Chiudere i rubinetti della propaganda. Eclissarsi. Introvabile dunque ricercato. Misterioso perciò interessante.

La gente ha memoria corta, ti condanna e poi ti rimpiange, con leggerezza; specie in Italia siamo fatti così. Per quanto possa suonare paradossale, l’unica via d’uscita per Salvini sarebbe un bel punto accapo. Un rumoroso silenzio. Un’assenza rigeneratrice. Parta ad esempio per una destinazione esotica, alla Di Battista per intendersi, e vi rimanga il più a lungo possibile. Ne approfitti per prendere una bella vacanza. Di sicuro non lo farà, per timore che nella Lega tentino il golpe (circostanza possibile). Ma se non parte adesso rischia di farlo tra un anno, con un biglietto di sola andata.