di Massimo Negrotti

 

Se qualcuno, anima beata, crede ancora che lo Stato, qualsiasi Stato, possa dispensare benessere e, soprattutto, giustizia e libertà, rifletta sulle restrizioni che corredano la concessione del cosiddetto “Reddito di cittadinanza”. Questo provvedimento, come è noto, ha due aspetti. Il primo, dimostratosi fallimentare, istituiva il ruolo dei “navigator” come strategia per facilitare l’incontro fra domanda e offerta di posti di lavoro; il secondo, intendeva sostenere finanziariamente le persone in pesanti e certificate difficoltà. Quest’ultimo obiettivo ha tecnicamente, ma malamente, funzionato e, per certi versi, persino troppo.

A ogni modo scopro solo ora, grazie a un dibattito televisivo, che lo Stato concede la tessera del Reddito di cittadinanza purché, chi ne è titolare, non la usi per giocare al lotto, acquistare gioielli e affini, comperare un bene via Internet o pagare il conto di un ristorante. In altre parole, la tessera deve servire solo per i beni alimentari di base come pane, latte o semplici medicinali. Insomma: mangia, curati il raffreddore e non pretendere altro. Rimane il dubbio se si possa acquistare una volta nella vita un piccolo tartufo, un modesto anellino per la moglie come celebrazione delle nozze d’oro, una pizza in un locale di periferia o un peluche per il nipotino. In definitiva, un nonno che ottiene legalmente la tessera del Reddito di cittadinanza, non può decidere di regalare a un nipotino una buona cena in un buon ristorante o magari l’abbonamento a una rivista di divulgazione scientifica, a costo di rinunciare al proprio pranzo del giorno dopo. No! Lo Stato, che pensa per lui, si preoccupa del suo stomaco, non del suo cuore e dell’emozione e della gioia del nipote. La moneta, geniale invenzione umana che permette, in funzione del suo ammontare, di agire liberamente nel mercato, è sostituita da un rettangolo di plastica che ti aiuta solo a sopravvivere ma senza il gusto e la libertà di vivere.

C’è inoltre un risvolto etico negativo ancora più grave e triste, soprattutto pensando al tanto osannato articolo 1 della nostra Costituzione. Se è vero che molti detentori del Reddito di cittadinanza rinunciano a lavorare perché, a conti fatti, lo stipendio che viene loro offerto è poco diverso da quello ottenibile con la tessera, senza dover assumere alcun impegno lavorativo, chi rifiuta il lavoro e preferisce il Reddito di cittadinanza finisce, viste le limitazioni sopra ricordate, per accettare un ruolo di cittadinanza dimezzata. Infatti, mentre con uno stipendio uno può comprare quel che vuole, con la tessera non sarà libero di spendere il contributo statale come preferisce, rinunciando, per esempio, a una bistecca per potersi permettere l’acquisto un libro. Inutile aggiungere che, anche qui, la generosità dei privati, quando c’è, è lontana anni luce dalla fredda mano di uno Stato pseudo-etico che pretende dai cittadini comportamenti virtuosi stabiliti a tavolino, in base a una ben singolare concezione della “dignità” della persona, come condizione per aiutarli nei momenti più difficili.

In effetti nessuno, quando elargisce una somma, piccola o grande, a una persona bisognosa gli manda poi dietro un detective per controllare come la spende. Tanto valeva che lo Stato, invece che la tessera, facesse in modo che ai percettori del Reddito di cittadinanza arrivassero settimanalmente pacchi di viveri e di aspirina, visto che per lui le “persone” sono solo macchine metaboliche.