di FABIO PORTA

“Né sangue, né suolo. La riforma in senso restrittivo dello ‘ius sanguinis’ segna, per il governo Meloni, una nuova tappa dell’arroccamento sovranista”: scriveva così lo scrittore e sociologo italiano Pippo Russo all’indomani della conversione in legge del decreto fortemente voluto dal governo Meloni-Tajani-Salvini e tenacemente difeso in Parlamento dai tre partiti che lo sostengono.

Una sintesi perfetta, quasi una sentenza inequivocabile che condannerebbe l’Italia ad un inverno demografico che potremmo ribattezzare “deserto demografico”, considerando le tendenze statistiche sulla popolazione italiana che da qualche anno indicano un declino progressivo e inesorabile.

Le previsioni più negative, quelle cioè che non prevedono nei prossimi anni né un incremento significativo delle nascite tantomeno una inversione di tendenza nelle politiche migratorie (ossia il quadro attuale italiano) ci dicono che tra cinquanta anni l’Italia avrà perso un terzo della popolazione, passando dagli attuali 60 milioni ad un numero appena inferiore ai 40 milioni; una popolazione drammaticamente insufficiente a garantire competitività economica e soprattutto sostenibilità al nostro Stato sociale, con un sistema sanitario e previdenziale non più in grado di sostenersi.

Un caro amico contesta la mia insistenza nel parallelismo tra le politiche restrittive in materia di cittadinanza (soprattutto quelle relative alle comunità residenti all’estero) ed il calo demografico in atto: in qualche modo ha ragione, perché l’aumento del numero degli italiani residenti all’estero come anche il loro eventuale rientro in Italia (a fronte di adeguati programmi di incentivo) non sarebbero in grado da soli ad invertire una tendenza così forte e sostenuta; sbaglia però quando non comprende che – come ci ricordava Pippo Russo nel suo articolo “Se al governo manca un’idea di cittadinanza” pubblicato sul quotidiano “Il Domani” – in mancanza di una politica inclusiva e attrattiva in materia di emigrazione e immigrazione l’Italia scivolerà lentamente e progressivamente verso una sterilizzazione delle sue risorse umane che nel passato fecero del nostro Paese una potenza mondialmente riconosciuta.

Era questa la partita in gioco nel maggio scorso nel Parlamento italiano, quando i parlamentari dell’opposizione – primi tra tutti gli eletti all’estero – si sono battuti caparbiamente, con argomenti e passione, per denunciare la mancanza di visione di un governo che per combattere il fenomeno della mercificazione della cittadinanza e l’intasamento di tribunali, comuni e consolati ha scelto la strada più semplice nei risultati ma allo stesso tempo più devastante negli effetti sociali ed economici. Per guardare al “dito” di singoli casi esecrabili (a partire dal vergognoso “black friday” della cittadinanza che per primo denunciai due anni fa proprio da questa colonna), il governo non ha più visto la “luna” di un’Italia fuori dall’Italia alla quale dovremmo essere eternamente debitori per l’incommensurabile apporto dato alla crescita del Paese e rispetto alla quale potevamo essere creditori per gli anni a venire per l’internazionalizzazione del nostro Made in Italy e il rientro degli italo-discendenti.

Purtroppo l’arroganza di un governo che è ricorso alla decretazione d’urgenza pur di non confrontarsi con il Parlamento e gli organismi di rappresentanza degli italiani nel mondo non ci ha permesso di andare a fondo di una materia che meritava più rispetto e considerazione; più forti sono state probabilmente le pressioni di quei tanti diplomatici che hanno sempre visto come fumo negli occhi le file dei cittadini italiani nei consolati e forse anche degli Stati Uniti di Trump insofferenti a migliaia di ‘latinos’ con sangue italiano e quindi non facilmente respingibili alle frontiere.