di FRANCO MANZITTI
Sembra il celebre film o meglio la trilogia intitolata “Ritorno al futuro” quello girato a Genova in questa estate calda dove di colpo tutto sembra cambiare o virare all’indietro.
Prima lo spauracchio delle Brigate Rosse che riappare con il prossimo, inimmaginabile processo a Leonardo Bertulazzi, il terrorista clandestino da una cinquantina di anni che sta per tornare, estradato dall’Argentina e che finirà alla sbarra in un replay del giudizio che lo vide condannato in stracontumacia per terribili atti terroristici anni Settanta.
E ora la siderurgia, la grande industria strapesante, che giaceva come un simulacro nel megaimpianto, quasi tutto smontato di Cornigliano, ponente genovese e ora riappare e si riaccende come un alto forno con la proposta del governo Meloni di installare a Genova, appunto, il quarto forno elettrico, oltre i tre previsti a Taranto.
Una vera bomba in una città che oramai considerava la siderurgia un finale di epoca, ancorchè viva sempre lì a Cornigliano, in quelle che si chiamano oggi “Acciaierie d’Italia” e erano Ilva e prima ancora Italsider, la propaggine di Taranto, da dove arrivava il prodotto grezzo da lavorare, da trasformare in lamierino o in latta o in qualche altro risultato siderurgico, la periferia di un impero morente, là dove l’acciaio in Italia era nato a ciclo continuo negli anni Cinquanta, primi in Europa.
Un forno elettrico vuol dire, al di là della trasformazione tecnica dell’impianto, riaccendere più in generale l’industria a Genova, dove solo quel nome spaventava un orizzonte di sviluppo che sembrava orientato a ben altro, la logistica delle infrastrutture attese, costruite miracolosamente come il Morandi bis, invocate per decenni come il Terzo Valico, studiate come la Gronda, impostate come il tunnel subportuale, in costruzione come la superdiga foranea, poi i servizi, il turismo, quello culturale soprattutto. Insomma un’altra Genova dopo quella industriale spirata inesorabilmente, al di là del porto.
Dall’altoforno al forno elettrico
Non che Cornigliano fosse sepolta, semmai era una barricata per il sindacato che difendeva un pugno di posti di lavoro e manipoli di cassintegrati. Non che in questo Ponente genovese, una volta il polmone occupazionale e la storia genetica del destino genovese tra Italsider, Ansaldo, Italimpianti, Marconi, Elsag e soprattutto i cantieri navali, avesse già cambiato il suo destino.
No, ma l’anima di Genova sembrava trasferita altrove, affidata a un altro destino.
E ora, mentre i cantieri navali, cioè Fincantieri, data per morta nel 2000, “tirano” come mai e non solo vengono raddoppiati a Sestri Ponente, dove sono in costruzione navi gigantesche da 250 mila tonnellate e anche i nuovi modelli Explora delle crociere di extralusso, l’acciaio torna a luccicare.
Se il piano del governo, che il ministro Adolfo Urso ha varato e fatto esplodere in questo finale di luglio, proponendolo alle parti sociali, farà fino in fondo un percorso che si è accelerato di colpo, dividendo la città a metà, il ritorno a “quel” futuro sarà perfetto e il protagonista del film, il visionario Doc uscirà dalla sua macchina del tempo e vedrà davanti ai suoi occhi l’acciaieria sputa fuoco.
A Genova Cornigliano nacque la nuova Italia
Non poteva che essere così: Cornigliano è il luogo dove, tra la fine del Novecento e il terzo Millennio, si sono scontrati più violentemente che altrove i due fattori riassuntivi del tempo che viviamo, l’ambiente e il lavoro. L’ ambiente da difendere, da salvare, da proteggere contro gli attacchi soprattutto della carbonizzazione e il lavoro che si stava estinguendo nei fattori primari della produzione.
In una Genova, che stava perdendo decine di migliaia di operai, il match era tra quegli altiforni, che sputavano fuoco fiamme e funi in faccia a Cornigliano e chi non voleva più il mostro in mezzo alle case, sul mare ricoperto perchè altiforni e cookerie sfornassero l’acciaio che aveva contribuito a industrializzare ed anche a modernizzare l’Italia del Dopoguerra e poi del boom e poi del seguito.
E con quale lamierino si sono costruite le automobili, gli elettrodomestici, i frigoriferi, le lavatrici, eccetera, eccetera di quel booom italiano?
Una battaglia sanguinosa che ha lasciato segni profondi, non solo i morti di tumore, tre volte più numerosi a Cornigliano che nel resto della città, ma nella storia genovese, nelle vertenze sindacali, nel mitico scontro tra le donne riunite in comitati guidati dalle leggendarie Leila Maiocco e Patrizia Avaglina e i padroni dell’acciaieria, che dopo lo Stato padrone sono stati soprattutto la famiglia Riva.
Si sono spenti gli altiforni, in una contesa che poi è culminata in grandi accordi firmati dagli enti locali, dal governo, dai sindacati, dai padroni Riva e che hanno lasciato nell ‘immenso territorio dell’ex Italsider solo una produzione parziale, una forte riduzione di personale e spazi immensi, appetiti da molti e mai distribuiti, di quella fetta di città più ambita, una grande fabbrica affacciata sul mare in un regime di “autonomia funzionale”, cioè non sottoposta ai vincoli della banchine del porto, allora governato dal CAP, il mitico Consorzio del porto, dove erano rappresentati perfino comuni che con le banchine non c’entravano un’acca.
Pensare che allora, nel 2000, tra le forze politiche più favorevoli a “chiudere” con l’acciaio c’era il Polo delle Libertà di Berlusconi, che equivale più o meno al governo di destra di oggi, che invece è il proponente del suo ritorno.
Scherzi della politica e delle tensioni sociali, che un caso simile innescava e innesca oggi.
Oggi la neosindaca Silvia Salis riceve con prudenza la proposta che riaccende Cornigliano, chiede di vederci chiaro, chiede la prudenza, davanti a un sindacato che esulta per i seicento posti che il Forno elettrico porterebbe nei bilanci esangui della industria genovese e a una popolazione che promette di scendere in piazza per dire no al fumo nero che torna nel cielo di Cornigliano.
Si apre così un’altra battaglia, un quarto di secolo dopo, che non è solo industria sì e industria no: è anche la rivoluzione di un modello cittadino.
Bucci, il governatore ligure, accoglie con favore il progetto di Urso, anche se contrasta con la sua vision di città fino a ieri, certamente non mirata su quel Ponente che si riaccende e non solo per i lampi di acciaio.
Malgrado tutto quell’anima vagante di Genova torna là dove si costruiscono anche i cassoni che stanno riempendo il mare per la maxidiga foranea e, appunto, le grandi navi.
Ma quella città che ha sofferto i fumi e le malattie soffre e perfino piange perchè vede tornare l’incubo dell’altoforno….
Il “ritorno al futuro” sarà un’operazione complessa con una parte di città favorevole e l’altra contraria. Alla sindaca Salis il compito duro di mediare una trasformazione all’”indietro”, che forse nessuno prevedeva.