di ENZO GHIONNI
L’European Media Freedom Act (EMFA) è entrato in vigore l’8 agosto 2025. Non si tratta di una direttiva, da recepire con tempi e modi decisi a livello nazionale, ma di un regolamento europeo, immediatamente applicabile e vincolante in tutti gli Stati membri. È un testo di ampio respiro, che ambisce a rafforzare la libertà e il pluralismo dei media nell’Unione, limitando l’ingerenza della politica e contrastando il potere di condizionamento delle grandi piattaforme digitali sui mezzi di comunicazione tradizionali. In Italia, però, il dibattito politico si è ridotto quasi esclusivamente alla questione della governance della Rai. È certamente vero che l’articolo 5 dell’EMFA impone agli Stati membri di garantire un servizio pubblico radiotelevisivo indipendente, da un punto di vista sia editoriale che finanziario, e che questo comporta inevitabilmente una revisione del sistema di nomine e dei meccanismi di controllo. Ma fermarsi qui significa ridurre un testo di portata sistemica a una polemica di casa nostra, ignorando tutto il resto. L’EMFA, infatti, introduce regole precise per la tutela delle fonti giornalistiche, limitando drasticamente la possibilità per le autorità giudiziarie di interferire con la loro riservatezza. Stabilisce criteri di trasparenza nell’allocazione della pubblicità pubblica, imponendo procedure non discriminatorie nell’assegnazione di fondi e spazi da parte di enti e società controllate dallo Stato. Regola il rapporto tra media e piattaforme digitali, vietando a queste ultime di rimuovere contenuti editoriali senza aprire un contraddittorio. E prevede un coordinamento a livello europeo, attraverso l’European Board for Media Services, per vigilare sull’applicazione uniforme delle norme. Si tratta, in altre parole, di un quadro organico pensato per rafforzare l’indipendenza dei media non solo sulla carta, ma nella pratica quotidiana. Eppure, in Italia, l’entrata in vigore di queste norme non ha provocato alcun scossone. Nessun piano nazionale, nessuna iniziativa legislativa organica, nessun dibattito parlamentare all’altezza della sfida. Al di fuori di qualche convegno accademico e di qualche seminario universitario, la politica sembra ignorare che queste regole sono già operative e che il loro mancato rispetto potrebbe avere conseguenze sia sul piano giuridico che su quello reputazionale. Il risultato è un immobilismo che rischia di farci scivolare ancora più in basso nelle classifiche internazionali sulla libertà di stampa, dove l’Italia non occupa certo posizioni di vertice. È un’occasione storica per rafforzare il pluralismo e l’autorevolezza dell’informazione, eppure rischiamo di sprecarla, rinchiudendoci in una polemica tutta interna e ignorando il quadro più ampio. Il regolamento europeo non è un auspicio né un esercizio accademico: è legge. E, come tale, va applicato subito e in tutte le sue parti. Continuare a concentrarsi solo sulla Rai significa non aver compreso – o forse voler ignorare – la vera portata della riforma.