di GERARDO PETTA

 

Il Partito Democratico e il cosiddetto “campo largo” sembrano incapaci di uscire dalla crisi di identità in cui si sono cacciati. A tre anni dalle politiche, la sinistra continua a comportarsi come se fosse ancora al governo, incapace di accettare una sconfitta che è stata, prima di tutto, culturale.
Invece di elaborare un progetto alternativo e concreto per l’Italia, si limita ad attaccare l’esecutivo e a cercare visibilità appoggiandosi a figure che dividono più che unire.

Il PD si muove in modo disordinato, oscillando tra populismo morale e vecchie ricette ideologiche. La coalizione progressista appare come un cantiere perenne, dove ogni alleato tira in una direzione diversa.
Dopo la batosta elettorale nelle Marche e l’ultima in Calabria, la sinistra proverà a serrare le file in Campania e in Puglia, ma l’elettorato non sembra più disposto a concedere fiducia incondizionata.
In Campania, la candidatura di Roberto Fico non ha suscitato entusiasmo: la sua immagine, più da attivista che da amministratore, non convince una parte crescente dei cittadini. E un successo del centrodestra non è affatto da escludere.

Sulla scena internazionale, il PD e i suoi alleati mostrano un’ambiguità sempre più evidente. Il loro schierarsi a favore della causa palestinese, spesso senza una chiara condanna dei crimini di Hamas, sta diventando un marchio ideologico difficile da giustificare.
Equiparare il terrorismo islamista al governo israeliano, come fanno certi ambienti progressisti, significa rinunciare alla credibilità politica e morale. La sinistra italiana sembra aver perso la capacità di distinguere tra difesa dei diritti umani e giustificazione del fanatismo.

In questo contesto emergono figure come Francesca Albanese, relatrice ONU che non ha mai nascosto le sue posizioni filopalestinesi, e Tomaso Montanari, rettore e commentatore televisivo sempre pronto a giustificare la “resistenza” palestinese senza mai un vero atto di condanna verso Hamas.
Il PD e parte della sinistra li hanno elevati a simboli di un imprecisato “umanesimo progressista”, arrivando persino a premiarli con cittadinanze onorarie e riconoscimenti pubblici.
Agli occhi dell’opinione pubblica, però, questa celebrazione appare come un gesto di rottura con il buon senso e un allontanamento definitivo dal pragmatismo politico.

Il campo largo, oggi, paga la sua incapacità di parlare agli italiani. Gli elettori non cercano sermoni ideologici né moralismi a senso unico: chiedono soluzioni ai problemi di ogni giorno.
Mentre il governo di centrodestra rafforza la propria posizione, sia sul fronte economico sia su quello diplomatico, la sinistra continua a inseguire simboli e battaglie che non portano voti ma soltanto divisioni.

L’impressione, sempre più diffusa, è che il PD e i suoi alleati stiano scavando da soli la fossa della propria credibilità politica.
E quando l’opposizione si affida più ai propri idoli che agli elettori, la sconfitta non è una possibilità: è una certezza.

 

Gerardo Petta- Zurigo