Si può solo prenderne atto: in pochi giorni la situazione del contagio si è talmente aggravata da finire – senza interventi drastici ben presto fuori controllo. Il governo ha certamente delle responsabilità, la più importante delle quali è l’incapacità di occuparsi dei problemi nel loro complesso, affrontandone uno per volta. In primavera, la priorità erano gli ospedali e i posti in terapia intensiva; poi, smorzatasi la buriana, in estate, l’attenzione (a parte una bottarella sulla Alta Velocità e sulle discoteche) si è rivolta alla riapertura delle scuole con la convinzione di poter disporre di un Servizio sanitario potenziato in grado di reggere una eventuale nuova sfida. Sarebbe stato comunque difficile (anche con le risorse del Mes) superare quei limiti strutturali emersi nella prima fase dell’epidemia: l’inadeguatezza della medicina territoriale, la concentrazione degli sforzi organizzativi e umani sui pazienti da covid-19 a scapito di quelli affetti da altre gravi malattie (non sapremo mai quanti sono stati i decessi a seguito di interventi e accertamenti sospesi o rimandati, la mancanza di personale medico e paramedico. A tal proposito il problema è ancora più complicato di come lo si affronta, perché, prima ancora degli ostacoli burocratici alle nuove assunzioni, vi sarebbe da risolvere una questione oggettivamente preliminare: i medici e gli infermieri non si possono inventare da un giorno all’altro se non ci sono. Tutto ciò premesso, qualcuno dovrebbe spiegare agli italiani perché nel giro non di settimane, ma di giorni, se non di ore lo scenario è cambiato e la pandemia è tornata a caderci addosso mentre ci accorgiamo di non avere ancora quelle difese adeguate che ci erano state prima promesse, poi confermate. Partiamo da domenica scorsa. Nel primo pomeriggio il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli, ospite a "Mezz’ora in più" su RaiTre, ci aveva rassicurati. "Che ci sia stata un’accelerazione, negli ultimi 10-15 giorni, del numero dei contagi in tutta Italia è un dato di fatto. Ma andrei cauto - aveva sostenuto il presidente - prima di parlare di crescita esponenziale. Non siamo in questa situazione". "È giusto guardare ai numeri con massima attenzione e allerta, ma non siamo in una situazione né di panico né di allarme. Degli 11mila casi registrati ieri, solo un terzo è sintomatico. Nella fase critica, a marzo, individuavamo tutti soggetti sintomatici". E ancora: "Siamo a quasi 700 persone ricoverate in terapia intensiva, un numero che non è paragonabile al momento del picco" della scorsa primavera. Inoltre, ha osservato il professore, l’Italia è "un Paese con tasso di positivi in rapporto ai tamponi tra i più bassi d’Europa. La situazione sanitaria non è comparabile con marzo", ha ribadito. Ma il racconto di Locatelli si diffondeva ancora in ulteriori rassicurazioni. "Non credo che dobbiamo arrivare" a un coprifuoco serale per contrastare la diffusione dei contagi da coronavirus, "certo un occhio sugli assembramenti forse va dato, magari implementando i meccanismi di sorveglianza". Per Locatelli, poi, "in Italia abbiamo imparato a proteggerci" e "abbiamo una formidabile capacità di fare tamponi". "Io credo che le Regioni abbiano tutta una serie di piani per attivare le rianimazioni. Non sono stati attivati perché non ce n’è stata l’esigenza. Abbiamo 700 terapie intensive su 6.600 adesso". Sempre secondo il presidente del Cts, è "indubitabile che ci sia stata forte crescita" del numero di contagi negli ultimi giorni, ma, non è necessario chiudere le scuole. "Prima la scuola – ha sottolineato - La scuola, insieme al lavoro e alle attività produttive, è la priorità. É stato fatto uno sforzo straordinario e va tenuta aperta. Il contributo della scuola nella diffusione del virus non è assolutamente d’impatto". E il vaccino gli hanno chiesto? "Probabilmente lo avremo disponibile nella primavera del 2021". "Fino ad allora dobbiamo convivere in modo da minimizzare l’impatto del coronavirus sulla vita degli italiani". Quanto al rischio di una nuova chiusura generalizzata del Paese, Locatelli ha commentato: "Voglio sperare che non arriviamo a lockdown su scala nazionale, si sta lavorando a questo, anche per contemperare la tutela della salute con il mantenimento delle attività produttive nel Paese". Se il numero di contagiati da coronavirus arriverà o arrivasse in Italia a quota 600mila, allora sì che si potrebbe parlare di pandemia "fuori controllo", ha chiarito Locatelli. Sono diversi i fattori da considerare prima di poter parlare di pandemia fuori controllo: "occupazione posti letto, contact tracing". Oggi c’è una linea di pensiero che si sta sviluppando in ambito europeo secondo cui "il sistema rischia di andare fuori controllo quando c’è circa l′1% di popolazione infetta, in Italia quindi 600.000 persone". Questa "è una variabile troppo influenzata da una serie di strategie che prevengono questo scenario, i modelli matematici (se non erro sono quelli usati dagli scienziati che oggi chiedono con urgenza il lockdown, ndr) sono utili ma - ha tenuto a sottolineare Locatelli - bisogna tenere in considerazione i dati che possono interferire". Le medesime valutazioni erano contenute, il giorno prima, nell’intervista a Il Foglio di Agostino Miozzo, componente anch’esso del Cts, secondo il quale "una buona organizzazione può aiutarci ad evitare di correre un rischio che non possiamo permetterci: occuparci di come non morire di covid senza occuparci di come non morire di fame". Ma anche quasi tutti i virologi onnipresenti nei talk show televisivi si sono trovati concordi nel rappresentare una situazione attuale totalmente diversa da quella dei primi mesi dell’anno, sia per quanto riguarda il numero degli asintomatici, sia dell’incidenza della gravità dei casi, sia per "linea Maginot" delle terapie intensive. Volendo essere pignoli ci sarebbe anche il Rapporto dell’Istituto Superiore della Sanità, aggiornato al 4 ottobre, che fornisce delle statistiche interessanti sotto molti punti di vista. Per ragioni di sintesi cito solo un brano: "Per quanto riguarda i dati demografici l’età media è pari a 80 anni. Le donne sono 15.365 (42,7%). L’età mediana dei pazienti deceduti positivi a SARS-CoV-2 è più alta di oltre 25 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione (età mediane: pazienti deceduti 82 anni – pazienti con infezione 56 anni). Le donne decedute dopo aver contratto infezione da SARS-CoV-2 hanno un’età più alta rispetto agli uomini (età mediane: donne 85 – uomini 79)".

GIULIANO CAZZOLA