di Franco Esposito

Spendaccioni o magnaccioni? Per il momento, spendaccioni. I candidati delle elezioni amministrativi che spendono più soldi. In alcuni casi li buttano dalla finestra, ma questa è un'altra storia. In molti casi, l'equazione finale è "più soldi che voti". E mentre i partiti chiudono i rubinetti, proclamando tacitamente, una campagna all'insegna dell'austerity, si è formalizzata e cristallizzata la classifica degli spendaccioni. Bernardo, il pediatra che usava andare in corsia con la pistola, candidato a sindaco di Milano, mette in preventivo 800mila euro. 

Caso Bernardo a parte, la classifica dei Paperoni è guidata da Stefano Lo Russo, candidato a sindaco di Torino, con una spesa di 526.500 euro. Il suo avversario su piazza, Paolo Damilano, in corsa con la Destra, lo incalza con 393mila euro. Stranamente non è Roma magna pars. Enrico Michetti, l'uomo di Fdl nella Capitale, prevede una spesa di 315mila euro, lontano un pezzo da due candidati torinesi. Carlo Calenda, leader di Azione, viaggia su 313mila e conta su laute donazioni. Il suo avversario Roberto Gualtieri, ex ministro, è terzo nella graduatoria degli spendaccioni romani: 290mila euro. Staccato da Bernardo, a Milano, il sindaco uscente Beppe Sala non va oltre 232mila euro. 

Volantini, palchi, gazebo, manifesti, e tutti i giorni in giro inseguendo l'obiettivo di far diventare popolari nomi e cognomi che nessuno ha mai visto né sentito prima. I partiti sono sempre più al verde e la campagna elettorale comunque ha i suoi costi. Grande rumore ha suscitato l'uscita del pediatra Bernardo: "O mi date i soldi e i mezzi o mi ritiro". Il candidato della Destra contava sull'arrivo di 50mila euro, da ogni partito della sua coalizione. È la dura legge di chi deve sperare che le segreterie mantengano gli impegni, non avendo la fortuna di avere dalla propria parte benefattori privati. 

A Roma la performance realizzata da Calenda non è una sorpresa. L'ex ministro conferma una notevole capacità di attrattiva sui benefattori privati. Hanno staccato assegni a quattro e cinque cifre imprenditori come la famiglia Bonomi, Alessandro Riello e Davide Serra. Parte delle donazioni sono state trasferite ai comitati elettorali. Il comitato "Calenda sindaco" ha stanziato da solo 64mila euro. Venticinquemila per stampa e affissioni, 14mila per spot tv e radio. 

Il candidato Michetti fa sapere che la maggior parte dei fondi arrivano dalle donazioni di parlamentari ed eletti di centrodestra. La campagna di Gualitieri è sostenuta dal Pd. L'investimento più alto sono i 160mila euro per la propaganda; ben 90 per la cosiddetta "pubblicità dinamica", i cartelloni su autobus e mezzi pubblici. Il mistero continua a circondare la campagna del sindaco uscente Virginia Raggi. Il preventivo di spesa del M5S e delle liste collegate è i bianco, dice "0 euro". 

Sarà diverso il consuntivo finale, ma dallo staff della Raggi ripetono urbi et orbi che sarà "una campagna frugale e in economia", dipende dalle donazioni raccolte. I finanziamenti pubblici a favore di Virginia Raggi sono noti: 19.200 euro raccolti dal "Comitato per Virginia" e 33.585 euro versati da alcuni parlamentari grillini nel "Comitato M5S per Raggi". 

A Milano desta una certa impressione la dichiarazione di spesa, 350mila, e soprattutto 120mila in manifesti. Ma i partiti della coalizione sembrano aver mollato Bernardo, forse consapevoli che la sfida a Sala sarà proibitiva. Svenarsi non vale quindi la pena. La Lega aveva promesso 110mila euro, ma contribuirà con meno della metà. Almeno a voler interpretare in maniera corretta la dichiarazione del commissario cittadino Stefano Bolognini. Fratelli d'Italia si fermerà tra i 25mila e 50mila euro. 

Beppe Sala gode di molteplici vantaggi. Due innanzitutto. Come sindaco, utilizza le strutture del Comune per la comunicazione istituzionale. In più, può contare su diversi sponsor: Antonio Belloni, manager di Luis Vuitton, e la società di servizi Wave srl, che ha scucito 20mila euro. Ma il benefattore più generoso di Beppe Sala è Gianfranco Librandi, deputato renziano che ha inaugurato il comitato elettorale del sindaco con 50mila euro. 

Cifre chiaramente fuori portata per Layla Pavone, del M5S. Fonti interne comunicano infatti che la campagna elettorale costerà non più di 30mila euro. Finanziati quasi tutti con le donazioni dei parlamentari locali e dei consiglieri regionali. 

Campagna low cost anche a Napoli. Anche se i candidati principali – Gaetano Manfredi Pd e M5S, Catello Maresca per la Destra e Antonio Bassolino come indipendente – non forniscono dettagli. Ma il Pd guidato da Marco Sarracino, rimessi in piedi i conti disastrosi, se la caverà con 10mila euro. Roberto Fico ha donato 5mila euro ai 5S. La sua fedelissima Gilda Sportiello 2mila. Nei guai Maresca, che si è visto bocciare la lista della Lega. 

A Torino preventivi di spesa più alti. Candidato della Sinistra, Stefano Lo Russo ha messo a budget 142mila euro dal Pd, 15mila da Sel, e 245mila, la donazione più forte, dal suo ex rivale politico Francesco Tresso. Patron delle Cantine di Barolo, Paolo Damilano, candidato della Destra, può contare soprattutto sulla sua lista personale: 190mila euro dei 393 totali. Ma il caso singolare è rappresentato da Valentina Stanga, candidata M5S. Ha preventivato di spendere 42.500 euro, finora ne ha usati appena 11.500. 

Austerità vera, questa, non chiacchiere politiche.