Vino di Montalcino in calice amaro. Bloccati quattro milioni e ottocentomila euro di beni al re del Brunello, indagato dalla Guardia di Finanza per evasione fiscale. Un colpo al cuore e una botta in testa per Jacopo Biondi Santi, erede degli avi che hanno fatto la storia e la fortuna del Brunello di Montalcino. Un ceffone momentaneo a un’eccellenza italiana nel mondo. Il rosso dei rossi vittima anch’esso della crisi economica degli ultimi dieci anni.  Progressiva e purtroppo costante; evidente il calo e il conseguente imbocco della china discendente. Complici anche alcuni investimenti azzardati. In primis, l’acquisto del Castello di Montepò, nella zona di Scansano famosa per la produzione del Morellino. Poi, la costruzione di una stupenda cantina, le spese in strutture e impianti.

Ecco spiegato come Jacopo Biondi Santi sia finito in una situazione di chiara profonda difficoltà. Debiti, pignoramenti e, nel 2016, la vendita della tenuta Il Greppo ai francesi dello champagne. La storia leggendaria dei Biondi Santi resa opaca dai recenti accadimenti di carattere giudiziario intestati all’erede della famiglia del vino di Montalcino.  La produzione annuale di Brunello della Tenuta il Greppo è di ottantamila bottiglie; diecimila sono Riserva. La tenuta nel territorio di Montalcino si estende su una superficie di quarantasette ettari. Pressato dalle difficoltà, Jacopo Biondi Santi l’ha venduta ai francesi per una cifra molto vicina a trecento milioni.

Montalcino è oggi la sede di decine di aziende, che pur non possedendo la formula dl BBS11, riunite in consorzio, trasformano il Sangiovese in purezza, rispettando un rigoroso disciplinare. Dieci milioni di bottiglie di gran pregio e prezzo adeguato che valgono 140 milioni di euro. Il Brunello viene esportato in tutto il mondo. Figlio di Clemente, il proprietario terriero Ferruccio Biondi Santi si trovò, ai tempi, a difendere le sue vigne dall’attacco della filossera. Prova una volta e prova ancora, riuscì a selezionare un clone di Sangiovese resistente e capace di dare la vita a vini di straordinaria longevità. Una formula segreta, il clone BBS11, appannaggio esclusivo dell’azienda dei Biondi Santi. 

La produzione della prima bottiglia di Brunello è datata 1888.  Il punto d’inizio della storia del pregiato vino di Montalcino. Perfezionata dall’enologo Tancredi e da Ferruccio Biondi Santi, annata 1955, generò il primo e unico vino italiano in tutto il Novecento che è riuscito a scalare la top Twelve Wine Spectator. La bibbia americana del settore vitinicolo, una sorta di cassazione. Centotrenta anni dopo, Jacopo Biondi Santi, quarta generazione della famiglia, ora si ritrova nella mano sinistra l’amaro calice. Le società di famiglia sono crollate. I bilanci delle aziende in profondo rosso. L’indebitamento con le banche supera i diciassette milioni. Da qui, nel 2016, la scelta/necessità di percorrere l’unica strada praticabile, a quel punto: la cessione del controllo de Il Greppo ai campioni dello champagne. La Epi Group di Christopher Descours, proprietario di Piper-Heldsleck.

L’ingresso dei vignaioli francesi, però, non risolve i problemi di Jacopo Biondi Santi.  Il procuratore della repubblica di Siena, Salvatore Vitello, e il sostituto Niccolò Biondi gli contestano una evasione di Iva legata a un giro di fatture per operazioni inesistenti. I legali del re del Brunello sostengono che “lo Stato non ha perso un solo euro a seguito delle operazioni contestate”.  La Guardia di Finanza, a loro avviso, non avrebbe tenuto conto dei “principi più volte affermati in materia dalla Corte di giustizia Ue, che conducono a opposte conclusioni”.  Dovendo prendere come punto di partenza, concludono, il fatto che l’Iva è un tributo di matrice comunitaria e che “la più alta autorità in materia è la Corte di Giustizia Ue”.  I legali di Jacopo Biondi Santi ritengono che il loro assistito abbia commesso, al massimo, solo alcune violazioni formali.  Comunque la giri, al momento la scena è occupata in esclusiva da quel sequestro di beni per quattro milioni e ottocento milioni di euro. E pare seriamente che il Brunello di Montalcino, pregiato vino, non sia andato alla testa né del procuratore capo, e neppure del sostituto in servizio presso la procura della Repubblica di Siena. In vino veritas, almeno per loro.

Franco Esposito