Mentre in Italia ci occupiamo della vertenza Africa con riflessioni di basso cabotaggio, a sud della nostra penisola succedono delle cose che molti di noi nemmeno conoscono perché il problema, per noi provinciali, sembra essere l’accoglienza ed altre menate terra terra. Mentre noi pontifichiamo tronfi di certezze, la Cina ha iniziato un’occupazione silenziosa e non militare, sbarcando in Africa con l’intento di conquistarla. Ma perché? Ciò che ha mosso la dirigenza cinese a mobilitare una massa enorme di capitali alla volta dell’Africa, ha origine in una serie di problematiche interne che si intrecciano con esigenze di tipo strategico ed internazionale.

Dal punto di vista interno c’era l’esigenza di contrastare la frenata del Pil dando impulso al settore delle costruzioni, ambito che negli ultimi anni ha vissuto un momento di difficoltà. A Pechino devono aver pensato che costruire ponti, strade e opere pubbliche infrastrutturando dei Paesi sottosviluppati come quelli africani avesse un duplice effetto. Da un lato ridare impulso ad un filone industriale fermo (dandogli ossigeno con commesse all’estero) e dall’altro controllare un continente strategico per una serie di motivi. Sì, perché oltre ad imporre le proprie aziende per la realizzazione delle infrastrutture, la Cina presta ai governi africani anche i soldi per finanziare le opere pretendendo una contropartita in materie prime e il controllo di snodi strategici (l’obiettivo fiale è Suez).

Di fatto il debito pubblico di moltissimi Stati africani è in mano alla Cina che, con la scusa degli aiuti e della realizzazione della Via della Seta, risulta come il primo creditore. Questa iperattività a sud del mondo si traduce anche nel massiccio controllo delle infrastrutture di comunicazione (porti, strade, ferrovie) e quindi in una rendita di posizione dal punto di vista delle spese di trasporto rispetto ai competitor (chi vorrà passare dall’Africa per questioni commerciali tra poco dovrà chiedere il permesso alla Cina). L’obiettivo di lungo periodo del governo è chiarissimo: spostare in loco tutti i settori produttivi ad alta intensità di forza lavoro in maniera da poter risparmiare anche sui costi di spostamento delle materie prime di cui l’Africa è ricchissima, risparmiando anche sul costo del lavoro che in Cina sta crescendo.

E cosa succede mentre tutto l’Occidente è preoccupato per questa occupazione da parte del Paese del Dragone che probabilmente incoraggia anche gli indigeni ad abbandonare le terre alla volta dell’Europa? Entro fine marzo, l’Italia sarà il primo Paese del G7 a salire sul treno della Via della Seta, contribuendo alla strategia della Repubblica Popolare. Con la scusa di far collaborare le imprese italiane ai grandi cantieri per infrastrutture - che stanno sorgendo sui canali della Via della Seta, dall’Asia al Medio Oriente, all’Africa - la Cina intende mettere le mani sulle infrastrutture portuali dell’Alto Adriatico, Trieste-Venezia come approdo della rotta marina verso il Nord Europa. Come se non bastasse l’Italia, nonostante gli avvertimenti del Copasir e dell’alleato americano, ha messo le proprie infrastrutture 5G (la nuova tecnologia di comunicazione ad alta velocità) in mano a Huawei, il colosso cinese che è accusato di passare dati sensibili al Governo cinese facendo spionaggio. Huawei, il leader mondiale nell’infrastruttura 5G, controllerà quindi reti ad altissima velocità per la comunicazione mobile e per la connessione a droni, sensori, auto a guida autonoma, oltre che le banche dati digitali delle infrastrutture pubbliche: monitoraggio di ospedali, controllo del traffico, gestione dei rifiuti, riscaldamento e soprattutto sicurezza. In definitiva, siamo un branco di polli.

Vito Massimano