Volavano aerei sul San Paolo con striscioni sventolanti ("Ferlaino vattene") e scoppiavano bombe (sotto la casa dell’Ingegnere in via Crispi). Niente di nuovo per le strade e sotto il cielo di Napoli oggi che sale la contestazione a De Laurentiis. Cori e striscioni. Incroci spezzati, complicità finite, favori negati.

La Digos è all’erta per evitare incidenti al San Paolo come in un buio passato. Ai tempi di Lauro, mischiando calcio e politica, fu devastato lo stadio di Fuorigrotta. Capitò in un giorno elettorale, il 28 aprile 1963, il Napoli lottava per non retrocedere, il Modena vinse 2-0, i tifosi sfogarono la delusione sportiva e l’avversione politica al Comandante. Fu una domenica di guerriglia con 62 feriti e 148 arresti, i danni arrecati al San Paolo vennero valutati in 130 milioni di lire. Anni di violenza.

Sotto le ceneri della passione calcistica covava il fuoco di un malessere sociale aizzato dalla criminalità, la passione calcistica strumentalizzata per obiettivi personali e lotte politiche. Oggi, il "quadro" è diverso. L’antipatia a pelle per De Laurentiis nasconde la collera per la fine di rapporti opachi e favori pretesi. Ai tempi di Ferlaino, eternamente contestato, il giovedì 28 maggio 1970 è stato il giorno più funesto. L’Ingegnere era presidente del Napoli da poco più di un anno, immediatamente inviso. In occasione della partita (persa) con lo Swindon Town, finale del Torneo anglo-italiano, i contestatori sfasciarono al San Paolo quello che c’era da sfasciare, partita sospesa e squalifica internazionale di due anni per il Napoli.

Una pausa alla violenza (dal 1926 al 2007 ventidue partite del Napoli finirono male, sette furono le invasioni di campo, 22 le giornate di squalifica del terreno di gioco, 27 gare disputate forzatamente in campo neutro) si registrò negli anni dal 1965 al 1969, iniziati con la presidenza di Roberto Fiore e il Napoli di Pesaola con Sivori e Altafini. Fiore è stato l’unico presidente azzurro amato dai tifosi, lo sentivano uno di loro e ne ricevevano generose concessioni per organizzare il tifo.

Poi l’entusiasmo e le vittorie con Maradona fruttarono nel 1987 il riconoscimento dell’Uefa che assegnò ai tifosi napoletani il titolo di "pubblico più civile d’Europa". Un tempo felice che registrò 526 club azzurri in tutto il mondo con 94mila iscritti. Al San Paolo furono realizzate 500 scenografie diverse, festose, ironiche, allegre. I tempi sono cambiati, la passione è scemata, riaffiorano le contestazioni.

Napoli non è la solita, unica pecora nera. A Cesena i tifosi pretendono rispetto dal presidente Lugaresi. Sui muri torinesi della Continassa i tifosi della Juve hanno scritto "una dirigenza incompetente senza rispetto per la sua gente". A Salerno intonano: "Forse chissà, succederà, canta con noi che Lotito se ne va". È contestato Preziosi a Genova. Sei anni fa, ad Ascoli, i tifosi piantarono 16 croci tombali allo stadio per ogni giocatore perché "è finita la pazienza, o salvezza o violenza".

Mimmo Carratelli