La grande avventura dei Vigili del Fuoco della Spezia che vinsero il campionato di guerra nel 1944 torna alla ribalta grazie al libro "Spezia 1944: lo scudetto dei pompieri" (pagg. 100, euro 10) curato da Fabrizio Calzia, qui nelle vesti di autore ed editore per Galata edizioni. In una grafica di antico stampo novecentesco, il volume mette insieme tre diversi linguaggi: quello teatrale di Gianfelice Facchetti, figlio del grande terzino dell’Inter, che al noto episodio ha dedicato la pièce teatrale "Eravamo quasi in cielo", scritta assieme a Marco Ciriello; quella narrativa di Calzia che racconta l’incontro tra un cronista e un calciatore di quella squadra (Mario Tommaseo che marcò Mazzola) e quello puramente giornalistico con interviste, fotografie e statistiche dedicate all’impresa degli spezzini che il 20 luglio del ’44 si cucirono lo scudetto sul petto nel giorno del fallito attentato a Hitler. Un trofeo cancellato dalla Federazione poche settimane dopo la sua conclusione, dimenticato per decenni e "riconquistato" dell’anno 2002 come titolo onorifico di cui fregiarsi nelle maglie bianche delle Aquile.

Oggi, a distanza di tanti decenni, viene da chiedersi cosa sarebbe successo se a vincere quel trofeo fosse stato il Grande Torino di Loik e Mazzola che imperarono nel calcio a cavallo della guerra sino alla tragedia di Superga del ’49. Ma, come si sa, le cose andarono diversamente: nella finale a tre all’Arena di Milano gli spezzini impattarono prima con il Venezia e batterono quindi i granata 2-1 con una doppietta di Angelini. I loro nomi per fortuna restano scolpiti nella memoria dei tifosi spezzini e negli annali del calcio italiano: Bani, Persia, Borrini, Amenta, Gramaglia, Scarpato, Rostagno, Tommaseo, Angelini, Tori, Costa. Per le trasferte veniva utilizzato un mezzo Fiat 601 L che sino a poco tempo prima sfrecciava nelle vie della Spezia dopo i tanti bombardamenti che distrussero la città. I pompieri vi installarono in alto delle tavole di legno su cui i calciatori sedevano all’aperto, alla pioggia e al vento, superando i passi degli Appennini. All’interno, invece, al posto dell’acqua c’erano dei pacchi di sale che servivano per barattare cibo per i lunghi viaggi.

Lo stratagemma di utilizzare il Corpo dei Vigili del Fuoco fu uno stratagemma dell’allenatore Ottavio Barbieri che, così, "salvò" i calciatori dello Spezia dall’invio in prima linea. Un allenatore che giunse sino alla Nazionale grazie alle sue invenzioni calcistiche, una sorta di Arrigo Sacchi anni quaranta. Fu lui infatti a lanciare il modulo del "mezzo sistema" basato sul libero in difesa, un robusto centrocampista davanti alla difesa, le ali tornanti e due punte. In quell’occasione Barbieri si trovò di fronte il grande Vittorio Pozzo, trainer granata, con il quale aveva condiviso l’esperienza in Nazionale. Una parte di quegli atleti fece in tempo a partecipare alla cerimonia di "riconquista" dello scudetto al Teatro Civico nel marzo 2002: Mario Tommaseo, Paolo Rostagno, Bruno Gramaglia, Sergio Persia e Sergio Bicchielli. Dopo quell’ultimo commovente incontro, se ne sono andati via per sempre lasciando però racconti e interviste che sono servite a Calzia a dare consistenza narrativa a questa vicenda che sa di calcio e avventura, di romanzo e di poesia.

La compagine del 42° Corpo dei Vigili del Fuoco della Spezia di quell'anno trionfò in un torneo che venne disputato in condizioni al limite della sopportazione, in un’Italia divisa e tormentata dalla guerra. Gli unici che riuscirono a sconfiggere il Grande Torino di quei primi anni quaranta dello scorso secolo furono proprio i pompieri spezzini. La storia di questa incredibile vicenda non ci può essere raccontata da nessuno dei protagonisti, l'ultimo, Mario Tommaseo, se n'è andato il 2 novembre del 2006. La città della Spezia era stata vittima dei bombardamenti, l'inflazione saliva del 300%, il mercato nero era all'ordine del giorno, il coprifuoco inevitabilmente scoccava alle 21,30. Ma nel Golfo dei Poeti si pensava anche al calcio, sebbene lo stadio Picco fosse inagibile e gli "aquilotti" dovessero allenarsi nella lontana Rapallo. La squadra si era rinforzata con Castigliano, poi ceduto al Torino, e con Carapallese, dirottato in seguito al Milan, ma soprattutto arrivò come allenatore Ottavio Barbieri, mitica bandiera del Genoa campione.

L'8 settembre 1943 impose nel nord d’Italia una scelta drammatica: o si stava con i Fascisti di Salò o si diventava partigiani prendendo le strade della montagna. Con l'Italia divisa dal fronte di guerra conosciuto come Linea Gotica, la Federcalcio spostò la propria sede a Milano ed organizzò un "Campionato di divisione nazionale misto" con le regole del Campionato nazionale precedente del 1942-43. Il torneo venne diviso in gironi zonali, organizzati in tre fasi regionali le cui vincitrici avrebbero disputato le finali per l'assegnazione del titolo di Campione d'Italia. Lo Spezia per motivi logistici venne incluso nel girone D del settore emiliano. Mancavano ovviamente le squadre che stavano a sud della Linea Gotica. La società aquilotta si trovava allora in grave crisi a livello dirigenziale: il presidente Perioli era stato catturato e inviato nei campi di concentramento in Germania; Semorile, l'unico rimasto, decise di contattare il comandante dei Vigili del Fuoco cittadini, l'ingegnere Gandino, per allestire una squadra in grado di affrontare il Campionato Alta Italia. L'accordo venne presto raggiunto sulla base di quanto avveniva in altre città: ad esempio in quel drammatico periodo anche la Juventus si era trasformata in Unica e il Torino in Cisitalia. L’intesa prevedeva di restituire tutti i giocatori allo Spezia al termine del conflitto: era uno stratagemma per sottrarre i calciatori agli obblighi del servizio militare.

La squadra assunse quindi la nuova denominazione VV.FF. Spezia, e come allenatore fu ingaggiato Ottavio Barbieri, già tricolore con la maglia del Genoa e giocatore della Nazionale. Molti dei successi arrivarono proprio grazie al rivoluzionario "mezzo-sistema", che prevedeva l'introduzione del "libero", imparato da Barbieri quando era vice dell'inglese Garbutt, negli anni del Genoa. Per i giovani atleti, fra camicie nere e fazzoletti rossi, le pompe per spegnere l'acqua era la scelta di gran lunga più sicura: così la squadra poté partecipare a un breve ma tormentato torneo fra squadre dell'Alta Italia. Gli "aquilotti" si riposavano nelle caserme dei loro colleghi e potevano pranzare anche con cipolle, fagioli e polenta. Giocavano un calcio maschio e potente tra allarmi per i bombardamenti alleati, rischio di essere prelevati e internati, trasferte lunghe ed imprevedibili. I Vigili del Fuoco spezzini vinsero il proprio raggruppamento nel primo turno, il Girone D della Zona Emilia, per poi, sempre nella stessa zona, imporsi anche nella semifinale B davanti a Carpi, Corradini Suzzara e Modena. Nelle qualificazioni finali fu il Bologna a cedere il passo ai liguri, che arrivarono così al girone conclusivo per il titolo, che venne disputato a Milano fra il 9 e il 20 luglio.

Di fronte agli spezzini due squadre importanti come Venezia e Torino: finì con un pareggio 1-1 contro i veneti, ma l'incontro decisivo fu quello contro i granata, rinforzati da Silvio Piola. L'incontro con i granata fu davvero epico. La partita fu giocata in un caldissimo pomeriggio di luglio con le maglie bianche sporche e consunte, con tanto di girocollo e le maniche lunghe. Del resto gli "aquilotti" possedevano solo quella divisa per tutto il torneo. Un aneddoto dice che Vittorio Pozzo, selezionatore del Grande Torino, integrato da altri elementi (una vera e propria nazionale approntata per il torneo) prima della partita si avvicinò allo spogliatoio dei pompieri e complimentandosi per essere giunti in finale, prometteva di non infierire troppo. I pompieri appresero di aver vinto lo scudetto quando, già sulla strada del ritorno da Milano, seppero che il Toro aveva strapazzato il Venezia 5-2. Ma in quel luglio del ’44 quello che contava di più era rimanere vivi e salvarsi dal devastante conflitto imposto dai regimi nazi-fascisti.

Marco Ferrari