Alain Delon ovvero l’elogio dell’insolenza. Il grande attore è stato, finalmente, omaggiato dal Festival di Cannes, con la Palma onoraria, consegnata dalla figlia Anouchka. I suoi detrattoti lo hanno accusato di essere misogino, gollista, reazionario. Delon ha sempre risposto con divertita noncuranza. Ieri, sulla Croisette, l’attore francese per definizione, ha ricevuto dieci minuti di meritate, quanto tardive, ovazioni. Così, l’83enne divo dagli occhi di ghiaccio, si è abbandonato alle lacrime di sincera commozione. Il suo volto, in gioventù angelico, in età matura straordinariamente affascinante, ha attraversato il cinema d’autore internazionale dalla fine degli anni Cinquanta fino al nuovo millennio. I suoi mentori cinematografici sono stati i connazionali René Clément e Jean-Pierre Melville e due maestri italiani: Luchino Visconti e Michelangelo Antonioni.

Il regista della Terra trema lo ha diretto in Rocco e i suoi fratelli (1960) e nel Gattopardo (1963). L’autore "dell’incomunicabilità" lo ha guidato nel film L’eclisse (1962). Delon viene volutamente ignorato dalla Nouvelle Vague. "Mi aveva messo al bando, ma io sono andato avanti lo stesso", ricorda. Eppure, è proprio Nouvelle vague il titolo in cui appare, nel 1990, firmato da uno dei padri del movimento cinematografico, Jean-Luc Godard. Quasi un risarcimento per l’attore. D’altro canto, Delon viene accolto da Melville, che lo vuole per interpretare il killer Jeff in Frank Costello faccia d’angelo (1967) e poi nel film I senza nome (1970) e Notte sulla città (1972). L’attore diventa anche l’attore feticcio di Clément, che lo dirige in quattro film, tutti negli anni Sessanta: Delitto in pieno sole (1960), Che gioia vivere (1961), Crisantemi per un delitto (1964), Parigi brucia? (1966).

Il record di direzioni deloniane lo stabilisce Jacques Deray. Che guida il divo, dal 1969 al 1994, per ben nove volte: La piscina (1969), Borsalino (1970), L’uomo di Saint Michel (1971), Borsalino and Co. (1974), Flic Story (1975), La gang del parigino (1977), Tre uomini da abbattere (1980), Un crime (1993), L’orso di peluche (1994). Ma Delon è anche il gangster Rogert Startet nel Clan dei siciliani di Henri Verneuil (1969), il supplente Daniele Dominici in La prima notte di quiete di Valerio Zurlini (1972), Zorro, nell’omonimo film di Duccio Tessari (1975), il misterioso Robert Klein di Mr. Klein di Joseph Losey (1976) e il barone di Charlus in Un amore di Swann Volker Schlöndorff (1984).

Nel 1985 l’attore riceve il Premio César per il migliore attore, grazie all’interpretazione offerta nel film Notre histoire di Bertrand Blier. Delon vince anche un David di Donatello speciale nel 1972 e l’Orso d’oro alla carriera al Festival di Berlino nel 1985. La sua ultima interpretazione sul grande schermo risale al 2008 nel film Asterix alle Olimpiadi. Due anni fa annuncia il ritiro dalle scene. "Ho pensato a questo premio – sottolinea amaramente Delon – come alla fine della mia carriera, della mia vita, come un omaggio postumo. È un periodo difficile, davvero duro. Il pubblico urla "No no", disapprovando l’addio e ha urlato "Alain, Alain" ritmando le mani mentre lui alza in alto il premio attribuito in passato a Catherine Deneuve, Jean-Paul Belmondo e ad Agnès Varda. "Come fate a guardarmi adesso, dopo avermi rivisto allora?".

Le immagini che scorrono sul grande schermo del Palais du Cinéma sono quelle di Delitto in pieno sole. "A Cannes – ricorda – sono venuto per la prima volta nel 1957, con Jean Claude Brialy. Non conoscevo nessuno del mondo del cinema, e neanche mi interessava così tanto. La mia carriera è stata un incidente, ho incontrato tante donne e se faccio questo mestiere lo devo a loro. Senza, non avrei potuto. Le star – sostiene – non nascono tali. Sono persone ed è il pubblico a renderle delle stelle. Per questo vi ringrazio con tutto il cuore per la mia vita e vi dico au revoir". La figlia lo definisce "un uomo antico, con dei valori. Un uomo di un’altra generazione. Sono fiera di te papà".

A quel punto Delon, a dispetto dei suoi critici, mostra tenerezza e gratitudine. "Non volevo questa Palma d’oro – sottolinea – non spetta a me ma ai registi che mi hanno diretto, a Visconti, a René Clément, a Melville, a Jacques Deray. Loro non ci sono più e io la accetto per loro". L’attore ricorda gli esordi. "Ho cominciato per caso. Non avevo la vocazione come altri attori di quegli anni come Lino Ventura o Burt Lancaster o Jean Gabin. Mi ero arruolato, ero tornato dall’Indocina e non avevo ancora un lavoro. Mi salvò – racconta – una giovane attrice conosciuta in quegli anni, Brigitte Auber. Nel ‘57, senza un film venni con lei per la prima volta a Cannes. Quando mi chiesero se volevo fare l’attore dissi che non ero capace, non avevo fatto alcuna scuola. Ma il regista del mio primo film, Godot, Yves Allegret mi diede la regola che mi hanno ripetuto anche i grandi e che poi ho seguito per tutta la mia carriera: non recitare guarda, ascolta, sii te stesso. Non fare l’attore, vivi. Ecco da quel momento ho vissuto tutti i miei ruoli".

Brigitte è la prima delle donne che Delon nomina. Cita anche Romy Schneider, Monica Vitti e si commuove parlando di Annie Girardot. Tanti amori ma non solo. Delon fa i conti con il proprio fascino che è parte fondamentale della sua popolarità e della sua carriera: "devo tutto alle donne, ho fatto questa carriera per loro". Delon racconta che Visconti lo convoca a Londra, dopo aver visto Delitto in pieno sole, su suggerimento della sua agente di allora Olga, che insiste per proporre il suo cliente allora sconosciuto. Dall’incontro felice nasce il capolavoro Rocco e i suoi fratelli, che lo consacra nel panorama del cinema d’arte europeo. L’esperienza americana ritiene sia stata "bella. Ma la Francia mi mancava troppo". Dopo la premiazione, viene proiettato Mr. Klein, film con cui nel 1976 Delon partecipa al festival di Cannes. Un film "rischioso. Perché per la prima volta parlava al cinema del collaborazionismo francese sulla deportazione degli ebrei".

Andrea Di Falco