Sabato scorso mi é successo quello che non doveva succedere. Giocherellando con il mio cellulare, l’ho fatto cadere in un recipiente pieno d’acqua. Subito provo un terribile sentimento d’angoscia. Raccolgo il cellulare e cerco del riso per sommergerci l’apparecchio dentro. Cosí qualcuno mi aveva consigliato, non so quando. Tre ore piú tardi accendo il cellulare. Tutto a posto, respiro e trascorro quieto il pomeriggio. La mattina dopo peró lo schermo del telefonino mi invia una pallida luce, segno chiaro che é giunto il momento della sua estinzione. Il riso non é servito. Il senso di sconforto é grande: mi sento segregato dal mondo. Cosa penseranno i miei amici e i miei collaboratori quando vedranno che non rispondo al telefono o a un whatsapp? Entro in crisi e cerco in Google la soluzione piú rapida. È una domenica e quindi la ricerca va diretta ai locali dello shopping. Finalmente trovo chi mi puó dare la soluzione e di sera concludo la stressante giornata con un cellulare nuovo (un modello piú moderno dell’"estinto" a un costo ragionevole).

Una giornata iniziata male, si conclude serenamente. Racconto questa stupida, ma vera storia che mi trasporta adesso - mentre scrivo - ad altre riflessioni. Viviamo un mondo che va in fretta, troppo in fretta e che ci obbliga a corrergli dietro. L’angoscia domenicale di sentirmi fuori dal mondo, per via dell’assenza del cellulare, é ai limiti della ragione, é segno di una incipiente paranoia. Non solo mi sentivo separato dai miei contatti, ma ero privo di applicazioni come Netflix, Uber o Spotify. Come in un assurdo patto con il diavolo postmoderno, avevo depositato il mio modo di comunicarmi e di divertirmi nel piccolo ordigno, caduto per caso in una bacinella. Mentre penso queste cose, ricordo un lontano passato in cui tardai sette anni per avere il mio primo telefono fisso: furono sette anni di pratiche, di visite all’ente nazionale preposto alle comunicazioni, di telefonate alla mia fidanzata fatte dalla salumeria, perché non avevo un telefono in casa. Sette anni di pazienza in riscontro alle poche ore di ansietá della scorsa domenica senza cellulare.

Cosí é diventata ormai la nostra vita: non abbiamo piú pazienza, non sappiamo aspettare, se dobbiamo fare cinque minuti di fila al supermercato ci inquietiamo. Se la commessa non riesce a capirci all’istante, mostriamo la nostra disapprovazione. Se il nipotino ci chiede un oggetto impensabile e comincia a fare capricci, corriamo a compraglielo: non sia mai che il poverino deva soffrire per il nostro ritardo. Le comunicazioni rapide fanno sí che tutto debba adeguarsi alla velocitá della tecnología. Prima cercavamo le risposte ai nostri quesiti nelle Enciclopedie, sfogliavamo lentamente le pagine, passavamo da un nome scritto in un volume ad un riferimento in un altro volume. Conoscere il passato e il presente comportava un tempo di studio, di ricerca e di riflessione. Oggi questo compito lo svolge Google, al quale chiediamo ogni cosa e lui ci riinvia in meno di un secondo mille risposte. Se Google tardasse due o tre secondi per risponderci, daremmo la colpa alle linee di internet intasate o a qualche problema del nostro computer o del cellulare. Solo tolleriamo mezzo secondo per la risposta, non di piú.

La fretta é il segno della nostra vita contemporanea. Viviamo quasi fossimo atleti olimpici, che cercano di abbassare di un centesimo di secondo un record. La differenza tra un persona competente ed una incompetente é oggi piú legata alla velocitá che allo spessore delle sue conoscenze. Piú che approfondire il sapere, preferiamo l’informazione rapida e necessaria. Se vogliamo che ci considerino vincenti nel mondo d’oggi, dobbiamo essere ogni volta piú rapidi e produttivi. Siamo giudicati per la velocitá delle nostre risposte ai mille problemi della vita contemporanea. Ma non solo dobbiamo essere rapidi: é necessario essere sempre disponibili, perché il mercato mondiale é attivo le 24 ore e riposarsi, fermarsi, casomai fare un sonnellino sono cose del passato. La responsabilitá di una persona - lavoratore o no - la si giudica dalla velocitá con cui risolve i problemi. Il resto conta poco. È proprio il cellulare caduto in acqua che mi fa riflettere su questo mondo che va troppo in fretta e dove perfino il mangiare é diventato un "fast food". Vorrei avere il coraggio di vivere qualche giorno senza cellulare, starmene piú quieto, dare meno importanza alla fretta senza senso. Ma ormai ho venduto a lui la mia anima al telefonino e al modo di vivere che gira intorno a lui: ed é anche vero, che se dicessi queste cose in pubblico, probabilmente la gente mi vedrebbe come un soggetto strano, fuori dal mondo, ammalato di nostalgia.

JUAN RASO