Per questo anno scolastico la spesa è stata di 140mila euro. Per il prossimo anno potrebbe crescere fino a 185 mila euro. Stiamo parlando dei finanziamenti per la diffusione della lingua italiana nelle scuole elementari in Uruguay. Lodevoli le motivazioni, un po’ meno forse l’effettiva messa in pratica di un progetto che viene portato avanti con solo un’ora e mezza di attività settimanale divisa in due lezioni di 45 minuti.

I corsi, ricordiamo, sono finanziati dal Governo italiano che tramite il supporto dell’Ambasciata vengono organizzati dal Casiu (Centro Assistenza Scolastica Italia Uruguay) con la collaborazione del Dipartimento di seconde lingue dell’Anep (Administración Nacional de Educación Pública). Il tutto è stabilito da un accordo tra l’Ambasciata italiana e il CEIP (Consejo de Eduación Inicial y Primaria) che va avanti dal 2003 e che viene rinnovato ogni anno. In questo 2019 l’anno scolastico in Uruguay è iniziato lo scorso primo marzo.

L’italiano è arrivato invece in classe con oltre un mese di ritardo a partire dallo scorso 8 aprile e questa è un’altra anomalia diventata ormai un’abitudine. 37 sono le scuole elementari che partecipano attualmente al progetto -13 a Montevideo, 24 nell’interno- destinato a quasi 4mila studenti del quinto e del sesto anno per un totale di 157 corsi. Per portare avanti le attività nel 2020 il Casiu ha chiesto 185mila euro in base al bilancio preventivo presentato al Comites di Montevideo che emetterà il suo parere nella prossima seduta del 13 agosto.

Questo denaro è dato dalla somma di due contributi, uno ordinario (€.177.500) e un altro per la formazione dei docenti (€.7.500). Nel documento si legge una programmazione pressoché invariata nella forma per il prossimo anno ma con un leggero aumento del numero di studenti: l’obiettivo è quello di arrivare a 200 corsi per 45 scuole cominciando dalle quarte classi oltre alle quinte e seste già presenti per un totale di 4.600 alunni. Nessuna modifica sul tempo effettivo delle lezioni che resterà con la sua misera ora e mezza settimanale ma arriverà a costare ancora di più.

Gente d’Italia lo ha già scritto diverse volte. Può davvero bastare questo poco tempo per diffondere la lingua di Dante? Cosa rimarrà ai bambini che seguono i corsi una volta concluso l’anno? Davvero bisogna accontentarsi di quello che c’è come sostengono gli ottimisti senza provare a immaginare qualcosa di più ambizioso? E le università? Insomma, sono soldi ben spesi questi? Senza dimenticare i docenti, i veri protagonisti di questo piano e maggiori benefattori del denaro inviato da Roma: in che livello sono? E pensare che solo pochi mesi fa il ministro Moavero parlava nella sua visita ufficiale della lingua italiana come "patrimonio dell’identità culturale dell’Uruguay". Di che razza di patrimonio parliamo con 90 minuti di lezioni a settimana?

di Matteo Forciniti