La malattia dell’Alzheimer prende il nome dallo psichiatra tedesco Alois Alzheimer che descrisse il primo caso nel 1906 dopo avere effettuato l’autopsia di una delle sue pazienti a Monaco di Baviera ed avere osservato ciò che allora descrisse come "una particolare malattia della corteccia cerebrale" per l’abbondante presenza di placche senili - formate da aggregati del peptide (breve tratto di proteina) beta-amieloide - e grovigli neurofibrillari - formati da filamenti della proteina tau.

Scientificamente si tratta di un insieme di sintomi dovuti a varie cause che progressivamente determina il deterioramento della funzione cognitiva al di là di quanto sia dovuto al normale invecchiamento. L’Alzheimer è una malattia a sé, non una malattia dell’invecchiamento. Essa interessa la memoria, il ragionamento, l’orientamento, la comprensione, il calcolo, la capacità di apprendimento , il linguaggio ed il giudizio. Prima della comparsa dei suoi primi sintomi passano decenni, ed è oggi possibile, grazie alle nuove tecniche quali ad esempio, tra le altre, il neuro-imaging ovvero la visione in tempo reale di ciò che succede nel nostro cervello - da vivi - , cogliere e vedere in anticipo i meccanismi biologici, prima cioè del palesarsi dei sintomi stessi della malattia.

Malgrado sia passato oltre un secolo dalla sua descrizione, solo nell’ultima decina d’anni si è cominciato , grazie alla genetica, alla biologia molecolare ed allo sviluppo di una fondamentale ed entusiasmante serie di nuove tecnologie, a comprendere quali siano le basi molecolari della malattia , per lo sviluppo di trattamenti efficaci e, possibilmente, la cura. Il cervello umano è straordinariamente adattabile e resiliente. È in grado di mantenersi e di autoripararsi grazie alla sua caratteristica-fenomeno della plasticità, neuronale e sinaptica.

Cominciamo inoltre a conoscere il ruolo della flora intestinale nell’attività della microglia ed il processo di neuroinfiammazione che si osserva oggi durante la neurodegenerazione. Per diagnosticare le malattie si usano oggi i biomarcatori ovvero parametri biologici che possono essere misurati per indicare la presenza o l’assenza di una malattia o il rischio di svilupparla. Il livello di glucosio nel sangue ad esempio è un biomarcatore del diabete, mentre il livello del colesterolo è un biomarcatore del rischio di malattie cardiovascolari . Tra i fattori allo studio come possibili biomarcatori dell’Alzheimer ci sono i livelli del peptide beta-amiloide nel cervello, ed i livelli di certe proteine come la proteina tau nel liquido cerebrospinale. Non esiste ancora un semplice esame del sangue per la rilevazione di tali alterazioni , ci stanno lavorando.

Per ora si rilevano tramite la tomografia a emissione di positroni (Pet). Gli individui possono dunque presentare alterazioni misurabili, biomarcatori, nel cervello, nel liquido ce rebrospinale e/o nel sangue che costituiscono i primi segni della malattia, senza ancora avere mostrato sintomi evidenti quali, ad esempio, la perdita di memoria. Ciò ben venti anni prima della comparsa dei primi sintomi della malattia rilevabili. L’Alzheimer causa la morte delle cellule nervose e la perdita di tessuto in tutto il cervello.

Con il passare del tempo le dimensioni del cervello si riducono in modo drastico coinvolgendo quasi tutte le sue funzioni. In una persona sana il cervello comincia a ridursi lentamente verso i 45-50 anni. È soprattutto la corteccia a ridursi per la perdita dei neuroni nei malati di Alzheimer. Ed arriva a pesare anche cinquecento grammi in meno. Nel corso di questo processo di morte neuronale si modificano anche altre cellule non neuronali del cervello, le cellule della glia - i due tipi principali sono la microglia e gli astrociti - le quali secernono alcune componenti - citochine - che possono dare origine a processi infiammatori tossici che facilitano la neuro degenerazione. Le neuroinfiammazioni possono derivare nel cervello, oltre che dalla attivazione delle cellule della microglia , anche dal sistema dell’intestino - microbiota- attraverso i cento milioni circa di neuroni connessi tra intestino e cervello.

Le cellule della microglia costituiscono il sistema immunitario innato del cervello e anche su questo si stanno concentrando gli studi ai fini della cura dell’Alzheimer. Si tratta cioè di indurre una maggiore attivazione della microglia per favorire l’eliminazione di beta - amiloide e ridurne l’accumulo attraverso vari meccanismi. Altre strade della ricerca prendono in considerazione il sangue. Dato che nel cervello esiste una comunicazione tra vasi sanguigni, le cellule della glia e i neuroni , si studia la trasfusione di sangue giovane per facilitare la neurogenesi adulta. Si ipotizza che la modificazione della vascolarizzazione del cervello, la riattivazione di cellule staminali neurali adulte ed il rimodellamento della plasticità sinaptica producano un miglioramento cognitivo ed un aumento della neurogenesi. Si riducono i livelli di peptide beta-amiloide nel sangue di pazienti con la malattia di Alzheimer mediante tecniche di dialisi, per vedere se ciò facilita un miglioramento cognitivo.

Si stanno sviluppando nuove neuro tecnologie, tecniche come la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva e la stimolazione transcranica a corrente continua , tuttora in fase di sviluppo e con risultati finora incoraggianti. Fino a trenta anni fa si credeva che la perdita delle funzioni mentali dovuta all’Alzheimer fosse una conseguenza naturale ed inevitabile dell’invecchiamento. Oggi grazie allo sviluppo di biomarcatori visibili con tecniche il neuro-imaging guardiamo all’interno dei cervelli di pazienti vivi e se ne studia l’attività in tempo reale. Ciò consente di essere oggi molto ottimisti sulle possibilità di successo contro questa malattia.

di FRANCESCA ROMANA FANTETTI