Pronti, partenza, via, ed ecco che il primo consiglio dei ministri del governo giallorosso impugna una legge della Regione Friuli Venezia Giulia - a guida Lega, va da sé - perché contiene alcune disposizioni ritenute discriminatorie nei confronti dei cittadini stranieri, e altre perché valicano le competenze regionali. Ed è una presa di posizione, su proposta del neo ministro degli Affari regionali Francesco Boccia, che suona subito come uno schiaffo a Matteo Salvini, alla Lega, e a una narrazione che per lunghi quattordici mesi ha dominato la scena cavalcando le politiche securitarie sull’immigrazione. Perché il primo atto dell’esecutivo Conte-2 prende di mira una norma del FVG che da un lato abolisce una serie di fondi per l’integrazione degli stranieri ma dall’altro stanzia fondi per il rimpatrio degli extracomunitari colpiti da provvedimento di espulsione. Senza perdere di vista un’altra misura, anche questa impugnata, che assegna contributi alle imprese che assumono i residenti in Friuli Venezia Giulia da almeno cinque anni.

Il caso diventa subito politico. Vuoi per il timing, vuoi perché sembra riprendere la discontinuità evocato nel corso della trattativa da Nicola Zingaretti. Vuoi ancora per l’oggetto della contesa: l’immigrazione, che è stata il cavallo di battaglia della propaganda del Capitano leghista. E non importa se l’istruttoria era già stata avviata dal precedente governo, ovvero dal Conte-1, e nel dettaglio dalla presidenza del Consiglio e dal ministro agli Affari regionale Erika Stefani. Ops. A via Bellerio si sentono invece accerchiati, traditi dai cinquestelle. Non si aspettavano certo che alla prima riunione a Palazzo Chigi i gialli e i rossi arrivassero a tanto. "Poltronisti sì, ma qui siamo oltre...", sussurra un soldato di Salvini. Nelle telefonate che si scambiano i leghisti sembra un film già visto: "Vuoi vedere - si domanda un leghista di peso - che questa roba appartiene al non scritto del programma di governo?". E non è certo un caso se il primo a ringhiare sia proprio Massimiliano Fedriga, governatore del FVG e autore della norma impugnata: "È una vergogna, sono felice di dare fastidio a questi traditori", si sgola con l’Huffington Post. "Ma non finirà certo qui, ci rivolgeremo alla Corte e so che vinceremo", chiosa.

Dall’altra parte del campo Boccia si intesta il primo atto e controreplica colpo su colpo: "Si tratta - spiega - di un’attività ordinaria, corrente e oserei dire anche banale. C’era una legge regionale che violava una serie di norme, la Regione Friuli solo ieri sera ha scritto che avrebbe scelto di adeguarsi, ci auguriamo che lo faccia. I termini per impugnare la legge scadevano domani e il Consiglio dei ministri aveva già deciso di impugnarla. Se il Friuli Venezia Giulia si adeguerà si potrà pensare anche di ritirare il provvedimento". Fatto sta che il primo giorno di scuola dai banchi dell’opposizione lascia le ferite al quartier generale di Salvini. Prima, il decreto che formalizza la nomina di Paolo Gentiloni a commissario Ue. "Il massimo del sistema di potere, dei salotti, dei poteri forti e che quindi a Berlino e Parigi stanno stappando lo spumante", sbotterà a tarda sera l’ex ministro dell’Interno. Ed è un altro colpo basso perché Gentiloni potrebbe realmente riuscire ad ottenere l’importantissimo portafoglio economico. Per intenderci, quello che fino ad oggi è stato il posto "dell’odiato" Pierre Moscovici. Poi il secondo atto che, visto dalla Lega, appare come un altro definitivo schiaffo perché sconfessa una norma di una regione a guida Carroccio su un tema marcatamente leghista, come la questione migranti.

"Mi sembra che stiano esagerando", confessa un ex ministro. Ma non è finita. In questo contesto si inseriscono l’indagine per diffamazione nei confronti di Salvini dopo la denuncia presentata a giugno da parte di Carola Rackete, comandante della Sea Watch 3. Eppoi ancora, la decisione del Tribunale di Locri di revocare il divieto di dimora a Mimmo Lucano. Ed è un’altra botta per lo storytelling di un Capitano che solo un mese fa dal Papeete Beach invocava "pieni poteri". E adesso si ritrova a Pinzolo, senza essere più al Viminale, ma all’opposizione. A via Bellerio alcune bocche restano cucite. "Non commento le vicende giudiziarie", allarga le braccia il capogruppo a Montecitorio Riccardo Molinari. Anche se poi chiosa con un "mi sembra tutto molto chiaro….".

"Lo sapevamo che sarebbe finita così, al di là di Lucano, di Carola Rackete e di tutto quello che ci sparano addosso. Matteo aveva tutti contro quando eravamo al governo, immaginiamoci adesso...", insiste Claudio Borghi .Eppure l’ideatore dei Mini-Bot non dispera perché "Matteo sta preparando la battaglia che più gli piace". Quale? "Mentre gli altri sono a brindare con il Tavernello, lui va in Umbria, in Emilia Romagna, a prendersi le regioni a guida Pd". Ed è questa la strategia di un leader che nell’ennesima diretta facebook ripropone il solito cliché, attaccando i ministri Bonafede e Costa, che ribattezza "mister Foro e mister No". E aprendo il via a una lunghissima campagna elettorale. Ieri in Umbria, oggi in Piemonte, domani in Emilia Romagna. "A meno che non vogliano annullare le elezioni in Umbria ed Emilia", ironizza. E anche se è deluso per l’atteggiamento dei cinquestelle, "che erano partiti come anticasta e mandano in Europa Gentiloni e governano con la Boschi e Franceschini", ora è pronto a ripartire. Per lunedì, giorno della fiducia a Montecitorio, convoca un presidio fuori dal palazzo, ma senza bandiere di partito. Quasi a voler far notare la differenza tra lui e Giorgia Meloni, che manifesterà con tanto di vessilli di Fratelli d’Italia. Poi Pontida, poi ancora la manifestazione del 19 ottobre per dire No al governo dei "poltronisti". Per stasera, però, basta così. È il primo vero giorno da opposizione. Ma si è già capito che per il Carroccio il difficile viene adesso.

ALBERTO FALCI