La nostra generazione, figlia di una delle guerre piu’ terribili che il mondo ha vissuto riuscira’ a vedere nascere un esercito Europeo unito? Italiani, Francesi, Polacchi, Tedeschi, Croati, Bulgari, Spagnoli combatteranno un giorno fianco a fianco con uniformi europee, difendendo principi e valori comuni od operando in teatri vitali in giro per il mondo? Sarebbe bellissimo, soprattutto perche' 70 anni fa buona parte degli eserciti dei singoli Stati Europei marciava l’uno contro l’altro per il predominio del suolo del Vecchio Continente. E in settanta anni, il panorama europeo e’cambiato moltissimo. La Germania divisa è stata denazificata, la Francia occupata ha assunto il ruolo di vincitrice, con un colpo intelligente propagandistico del Generale De Gaulle, l’Italia si è inserita nel blocco occidentale e più di tutte, assieme alla fondazione del sogno europeo che oggi chiamiamo Unione, è caduta l’Unione Sovietica. Voler ripercorrere 70 anni di storia globale e tracciarne un profilo esaustivo è pressoché impossibile, ma oggigiorno è cruciale ricordare che l’Europa Occidentale, dopo la Seconda Guerra Mondiale, è entrata a tutti gli effetti in quel mondo liberal democratico che noi chiamiamo Occidente.

Di questo mondo, difensore assoluto è stata proprio la bandiera a stelle e strisce, l’aquila americana che ha affrontato a tu per tu la minaccia di infiltrazioni pervasive e determinanti del comunismo in Europa, convogliando in questa "sfida" gli stessi paesi europei con il Trattato di Washington nel 1949, che diede la nascita alla NATO. La difesa europea per decenni è stata letteralmente materia esclusiva degli Stati Uniti, confinata sotto l’ombrello atomico degli "States" i quali ricevevano preoccupazioni e suggerimenti da parte degli stati europei e senza che alcuno di essi se ne dispiacesse più di tanto (eccetto per la Francia che decise di rincorrere ancora il sogno della "Grandeur" con De Gaulle presidente). Gli unici paesi che hanno cercato di mantenere una parvenza di indipendenza ed autodeterminazione son stati le ex potenze coloniali, Regno Unito e Francia, che hanno sviluppato programmi atomici e che per rilevanza e "prestigio" hanno ricevuto un trattamento di favore. Oggi, i paesi membri dell’Unione Europea vogliono concretizzare il sogno di un esercito europeo. Vogliono staccarsi da "mamma America" e dai suoi trattati di pace. Insomma vogliono essere presenti sul panorama mondiale con un esercito indipendente e forte. Ma il desiderio legittimo e sicuramente positivo, incontra numerosi ostacoli, primo fra tutti l’Alta Corte Europea che, espressasi recentemente in materia, ha giudicato ha giudicato "difficilmente realizzabile"il progetto di un esercito comune europeo.

Il giudizio dell’alta istituzione, di fatto sembra far svanire il sogno di una politica di difesa comune. Un progetto sul quale l’Unione Europea ha investito 22,5 miliardi di euro tra il 2021 e il 2027 . Una cifra molto piu’ consistente dei fondi messi a bilancio negli anni scorsi. Tra il il 2014 e il 2020, infatti, erano stati stanziati circa 2,8 miliardi messi a bilancio. Ma quale sarebbe la reale impossibilita’ del progetto? I togati dell’Alta corte hanno evidenziato parecchi punti. Dall’impossibilità di controllare l’utilizzo delle risorse stanziate, alla moltiplicazione delle strutture con inutili sovrapposizioni con la Nato, fino all’impreparazione militare. Pesano poi sul progetto, secondo i giudici, le palesi differenze strategiche degli stati e le ampie differenze tra le capacità difensive dei paesi membri. Soprattutto perché con la Brexit verrà a mancare l’apporto della Gran Bretagna, che da sola sostiene circa un quarto della spesa militare totale dei paesi europei. Infine, per essere realizzato ed essere messo nelle condizioni di funzionare, l’Esercito d’Europa richiederebbe investimenti per centinaia di miliardi di euro. Un parere tutt’altro che incoraggiante, insomma.

Per i giudici dell’Alta Corte: "la cooperazione e le capacità militari attuali degli Stati membri non corrispondono al nuovo livello di ambizione della politica di difesa dell’UE. (…) Le recenti iniziative a livello di UE e il proposto incremento dei finanziamenti comportano rischi per la performance". Sembra che la volonta’ degli paesi UE e dell’Alta corte, viaggino su un doppio binario pronto a scontrarsi. Gli Stati Membri, infatti, sembrano ben determinati a creare l’Esercito Europeo nonostante il parere negativo dell’Alta corte. Nelle linee guida della nuova "Politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC)", infatti, l’UE ha varato nuove iniziative, che mirano a potenziare la cooperazione tra gli Stati membri. Per il periodo 2021-2027 la Commissione ha proposto ingenti aumenti di spesa: solo per progetti di ricerca e sviluppo in materia di difesa, si passerà da 590 milioni a 13 miliardi di euro, un aumento di 22 volte rispetto all’attuale ciclo settennale. L’Unione mira alla creazione di capacità militari concrete, che abbiano un chiaro potenziale deterrente nei confronti di possibili minacce e che abbia la disponibilità di agire tempestivamente in caso di necessità.

La nuova forza comunitaria dovrebbe infatti sovraintendere a: "le azioni congiunte in materia di disarmo, le missioni umanitarie e di soccorso, le missioni di consulenza e assistenza in materia militare, le missioni di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace e le missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace e le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti". Dovrebbe inoltre avere la capacità "di dispiegare rapidamente da 50 mila a 60 mila effettivi entro 60 giorni per i compiti più impegnativi, mantenendoli per almeno un anno". Ma, l’Alta Corte Europea, nonostante il desiderio dei paesi membri e i futuri ingenti investimenti, sostiene a supporto del parere negativo, che in campo di difesa comune l’UE ha maturato finora scarsa esperienza. "Ancor oggi – si legge nell’articolato documento della Corte- vi è il rischio che non siano stati fissati obiettivi adeguati, e che non esistano sistemi tali da far fronte a quest’incremento della spesa dell’UE e al nuovo livello di ambizione previsti dalla strategia globale dell’Unione". Inoltre, i cospicui e non coordinati tagli apportati ai bilanci della difesa degli Stati membri, uniti a un basso livello di investimenti, hanno inciso sulle loro capacità militari.

Attualmente gli Stati membri dell’UE sono ben lontani dal possedere capacità militari corrispondenti al nuovo livello di ambizione dell’UE in questo settore. La Brexit aggraverà questa situazione poiché un quarto delle spese totali degli Stati membri dell’UE nel settore della difesa è sostenuto dal Regno Unito. Ma non è finita qui: benché si preveda un aumento della spesa dell’UE nel settore della difesa per il prossimo futuro, questa rimane modesta (in media circa 3 miliardi di euro all’anno) rispetto alla spesa militare complessiva degli Stati membri (è pari a meno del 2 %). Ma, facciamo un analisi piu’ approfondita sulle reali possibilita’ di un esercito Europeo e sulle possibili strategia di difesa dell’UE. Se l’Europa dovesse difendersi da sola senza assistenza esterna, per sopperire alla carenza in termini di capacità, sarebbero necessarie parecchie centinaia di miliardi di euro. Solo per conformarsi alla linea guida del 2 % del PIL, gli Stati membri dell’UE aderenti alla NATO dovrebbero investire ogni anno altri 90 miliardi di euro, con un incremento del 45 % circa rispetto al loro livello di spesa del 2017. Soltanto in quell’anno, i 28 Stati membri dell’UE hanno destinato oltre 200 miliardi di euro di spese pubbliche alla "difesa".

Presi globalmente, i bilanci nazionali superano di circa 75 volte le spese per la difesa dell’UE nel quadro dell’attuale bilancio. Tra gli Stati membri, poi, le differenze strategiche sono evidenti. Ad esempio, alcuni paesi tendono a concentrarsi sulla difesa territoriale contro le minacce militari rappresentate dalla Russia, mentre altri sono orientati verso le sfide alla sicurezza che hanno origine nell’Africa settentrionale e nel Medio Oriente. Un altro elemento di riflessione poi, e’, rappresentato dalla neutralità di alcuni stati, contro l’interventismo di altri. In questo scenario "alcuni concetti, come quelli di "autonomia strategica" o "esercito europeo", rimangono ampi e vaghi". Un problema oggettivo, poi, secondo la Corte è il rischio di sovrapposizione strutturale della nuova forza comune con la Nato. Ad aggrovigliare la situazione anche il fatto che non tutti i paesi Ue ne siano membri: oggi sono 22 gli stati aderenti all’Alleanza Atlantica, mentre altri sei (Austria, Cipro, Finlandia, Irlanda, Malta e Svezia) non ne fanno parte. Altri ancora, sono membri NATO, ma non fanno parte dell’UE (Albania, Canada, Islanda, Montenegro, Norvegia, Turchia e Stati Uniti).

"Gli Stati membri dell’UE dispongono di una riserva unica di forze; pertanto, al fine di evitare un uso inefficiente del denaro dei contribuenti, una questione critica e una priorità essenziale per il prossimo futuro consistono nel sapere se l’UE sia in grado di integrare la NATO, evitando così duplicazioni e sovrapposizione di funzioni con quest’ultima", si legge nel documento. Dunque, il primissimo passo, prima ancora della creazione della struttura militare comune, e’, certamente la rivisitazione dei trattati internazionali. Ad oggi fa fede il Testo Unico Europeo, il quale limita fortemente l’uso del bilancio UE nel settore della difesa. In particolare non si possono finanziare "le spese derivanti da operazioni che hanno implicazioni nel settore militare o della difesa", tanto che fino a oggi ogni singolo stato ha finanziato autonomamente le spese per operazioni militari effettuate. Inoltre l’UE non può possedere mezzi militari. Dal 2003 a oggi, la Politica di difesa dell’Unione ha preso la forma di 35 missioni e operazioni civili e militari all’estero: Le missioni e operazioni militari comportano il distacco di soldati dagli Stati membri dell’UE per porre fine alle violenze e riportare la pace (nel 2017 l’UE ha effettuato sei missioni militari, impiegando circa 3 200 effettivi). Le missioni civili coinvolgono personale civile: giudici o ufficiali di polizia che collaborano alla ricostruzione, successiva a conflitti, delle istituzioni di un paese tramite l’offerta di formazione e consulenza alle autorità nazionali. Nel 2017, circa 1880 addetti hanno preso parte a 10 missioni civili. Tuttavia, sottolinea ancora la Corte, non c’è mai stato ad oggi un centro di comando unificato. Si è sempre intervenuti nell’ottica di coalizione di stati. Come gestire dunque i prevedibili problemi di definizione di governance?

I rappresentanti dell’Alta Istituzione "abbattono" infine, uno degli aspetti che i sostenitori della politica di difesa comune hanno sempre sottolineato: il beneficio alle imprese europee degli armamenti. Oggi il mercato europeo della difesa fattura circa 100 miliardi di euro e occupa direttamente circa 500 mila addetti. Ha una struttura piramidale, al cui vertice si colloca un limitato numero di grandi imprese (gli appaltatori principali), coadiuvate da circa 2 mila piccole e medie aziende che forniscono sottosistemi o componenti. Un mercato chiuso, bloccato e dipendente dagli investimenti in ricerca e sviluppo, ordinati dagli stati committenti. "I precedenti tentativi dell’UE di promuovere l’istituzione di un mercato europeo di materiali per la difesa – si legge ancora nel documento- aperto e competitivo non hanno avuto successo. La limitata cooperazione tra gli Stati membri ha prodotto inefficienze nel settore della difesa comunitaria, mettendo a repentaglio la competitività globale del settore e la possibilità di sviluppare le capacità militari necessarie. Tuttavia, il sensibile aumento dei finanziamenti alle attività di Ricerca e sviluppo orientate alla difesa rischia a sua volta di diventare un esercizio privo di impatto reale sulla competitività del settore europeo della difesa".

Margareth Porpiglia