L'Italia, aldilà della politica elettorale, è un paese conservatore. Sa come vorrebbe vivere, è orgogliosa dei propri "usi e costumi" e non condivide l’entusiasmo di certi stranieri—forse soprattutto americani— per il cambiamento, il "change", che a volte pare essere fine a se stesso. Più che altrove, l’Italia sa che il cambiamento può anche essere in peggio: ma il mondo non la lascia stare... Così si arriva a "pizza as a service", una nuova maniera per spremere margini —cioè, soldi—dal processo di mettere della mozzarella e del pomodoro su un disco di pasta di pane e infornare il tutto per preparare una pietanza popolare nel Paese e nel mondo: ma profondamente italiana, anche quando i "pizzettari" non sono italiani.

Picnic, una startup americana, ha iniziato la commercializzazione di un servizio robotico per i ristoratori capace di sfornare fino a 300 pizze all’ora. A differenza dei grandi sistemi usati industrialmente per la produzione di pizze surgelate, il "robot" che le fa—e che somiglia di più a una grossa fotocopiatrice che ad un automa umanoide—è abbastanza piccolo da stare nella cucina di una pizzeria, usa ingredienti freschi e permette ricette "customizzate" a secondo dei gusti del cliente. Nell’insieme il procedimento si chiama "pizza as a service" perché la Picnic non vende la pizza e non vende neanche i macchinari che le fanno. Vende piuttosto la "fabbricazione materiale" con una sorta di lavoro automatico a cottimo, un "tot" al pezzo e ad un prezzo prestabilito, inferiore al costo di produzione artigianale.

Almeno in teoria, al proprietario del ristorante resta essenzialmente da mettere in sala i camerieri per raccogliere le "comande" dei clienti e gestire la raccolta degli incassi. Un rappresentante della Società, dando per scontata l’eventuale automatizzazione della ristorazione, spiega l’offerta: "I ristoratori non vogliono fare grossi investimenti su tecnologie che saranno obsolete tra un paio d’anni...". Così è la Picnic ad occuparsi della macchina e degli aggiornamenti hardware e software, precisamente come nei contratti di noleggio delle fotocopiatrici d’ufficio che "contano le copie" per calcolare la tariffa finale in base a una specie di abbonamento.

La proposta sottolinea come il senso ultimo della "rivoluzione digitale" non è che le cose si svolgano tramite computer, ma piuttosto la comprensione che, come ogni informazione possa essere smontata, ri- assemblata e trasmessa sotto forma di bits and bytes, così i processi del lavoro possano essere fatti a pezzi e rimessi insieme, e forse altri processi umani ancora. La produzione industriale della pizza non è certo una novità. I congelatori dei supermercati sono zeppi di pizze prodotte da macchine—ma non sono pizze "per davvero", sono succedanee, come lo è l’orzo tostato quando non si può avere un vero caffè. Somigliano abbastanza...

Forse tutto ruota attorno alla domanda: "Ma com’è questa pizza automatica?" La previsione che sarà meglio della pizza cattiva e peggio di quella buona è probabilmente valida. Come in tante altre cose, la rivoluzione tecnologica che abbiamo scatenato pare in fin dei conti destinata a far trionfare l’accettabile mediocrità. Non è solo l’Italia che non riuscirà a conservare il suo orgoglio davanti al nuovo.

JAMES HANSEN