Il vino senza uva? Si può fare, lo hanno fatto. L’olio senza olive? Come sopra, lo hanno prodotto. Il pesce surgelato scongelato al sole? Un gioco da ragazzi per i maestri delle frodi. Imbroglioni italiani all’opera in Italia, i casi gravi di frodi hanno avuto un incremento del trenta per cento rispetto al 2018. I carabinieri dei Nas hanno apposto sigilli a merci per 147 milioni. Il rapporto sulle sofisticazioni alimentari rileva che un’attività su tre è irregolare. Un quadro desolante. Numeri che fanno cadere le braccia: così si distruggono credibilità e appeal di alcune eccellenze italiane.

Vini prodotti senza uva, olii estratti da semi di soia spacciati per extravergine. Tonni lasciati marcire, carni bovine invase da muffe, sacchi di riso stoccati tra escrementi di roditori e taniche di benzina. Formaggi infestati di parassiti. Il pesce congelato scongelato appunto al sole. Il festival degli orrori è presente e rappresentato nel rapporto 2019 dei carabinieri del Nas su sofisticazioni e adulterazioni alimentari. Le denunce penali sono passate in un solo anno da 2.137 a 3.891. I carabinieri hanno passato al setaccio negozi, supermercati, depositi per l’ingrosso, allevamenti, ditte agricole e case vinicole. Rilevate irregolarità a bizzeffe, in molti casi di tratta di infrazioni amministrative.

Sotto sequestro sono finite 105 tonnellate di merci per un valore di 147 milioni. Il resoconto è stato presentato e illustrato a Roma alla conferenza “Salute e agroalimentare”, organizzata dal Comando dei reparti specializzati dei Carabinieri diretti dal generale Claudio Vincelli. L’elenco delle frodi diffuse racconta di organizzazioni che usano metodi sempre più raffinati per aggirare i controlli e ingannare i consumatori. Le vere vittime delle magagne e degli imbrogli di questi autentici farabutti.

Non sono esclusi quei consumatori-vittime che non badano a spese pur di acquistare un vino presunto pregiato che poi si rivela più scadente di quello venduto in cartoni. Caso tipico, il falso Tignanello bottiglia di supertuscan venduta a più di duecento euro. Una ditta fiorentina l’ha smerciata a poche decine di euro. Dentro le bottiglie c’erano addirittura uve da pasto. Uno dei responsabili della truffa è finito in galera. Intanto, però, l’immagine di un nostro vino di alta qualità ha subito all’estero un grave danno. Le bottiglie contraffatte venivano infatti anche esportate.

L’operazione “Ghost wine”, vino fantasma, è definibile addirittura surreale. A Lecce ha portato a undici misure cautelari con l’accusa di associazione a delinquere a carico dei produttori. Anch’essi “fantasmi” imbottigliavano vino spacciato per Doc o Docg un composto di zucchero, coloranti proibiti e additivi vari, senza nemmeno un grappolo d’uva.

Le frodi sull’olio tengono parimenti banco. Un classico dell’imbroglio è rappresentato dall’extravergine di oliva composto in realtà da una miscela di olii a base di semi di soia, colorato poi con clorofilla e carotenoidi. L’alta scuola della frode. Vogliamo parlare dei crostacei e dei molluschi? Sull’intero territorio nazionale imperversano i granchi cinesi. Specie vietata in assoluto perché “esotiche e invasive, pericolose per l’ecosistema e anche per la salute”. L’immissione in commercio è di una pericolosità unica. Può provocare danni all’organismo. Ovvero un attentato alla salute.

Laddove, in pescherie e mercati ittici, è un ininterrotto festival di prodotti mal conservati. E non è che le cose vadano meglio con le carni. A Latina, nel Basso Lazio, bistecche e fettine convivevano beate con le muffe in una cella frigorifera. I Carabinieri dei Nas hanno definito la situazione “un insieme di gravissime carenze igieniche e strutturali”. Identiche quelle riscontrate anche per farine, pane e pasta. A Torino e Cremona cinque aziende stoccavano centinai di tonnellate di riso in silos invasi da piume di volatili, benzina e da escrementi di topo.

“Quasi sempre la frode alimentare fa rima con lo sfruttamento di chi lavora per imprenditori senza scrupoli”, ha spiegato il generale dei carabinieri Gerardo Iorio. “Gli abusi a danno dei lavoratori finiscono infatti per ricadere negativamente anche sulla produzione degli alimenti”. Sfruttatori e caporali dello sfruttamento sono sempre più italiani. Centocinque quelli scoperti nel 2018, sono diventati 239 nel 2019. Un ulteriore segnale di un Paese che bene non sta. Stiamo peggio noi italiani, in quanto facenti parte del “Paese che bene non sta”. I nostri tavoli sono spesso il punto d’arrivo dei veleni alimentari sopra evidenziati e raccontati. È dura dire, si salvi chi può.

Franco Esposito