Esiste già la possibilità di fare una valutazione politica della vicenda Coronavirus? Sì esiste ed è quanto mai opportuna. Possiamo dire con ragionevole certezza che questa storia (ancora lontana dalla sua risoluzione a livello sanitario) finirà per rafforzare il Governo intorno a una emergenza nazionale che richiede unità d’intenti e compattezza istituzionale? No, non possiamo dirlo e anzi è elevata la probabilità di un effetto contrario. Mettiamola così, dunque: questa storia è di grande interesse perché capace di mostrare in chiaro tutte le storture della nostra catena di comando e anche tutte le fragilità del nostro sistema istituzionale, pur in presenza di buona volontà da parte di tutti i soggetti interessati e indubitabile spirito di abnegazione di tutti gli operatori delle realtà messe al lavoro, siano esse del comparto sicurezza o di quello della salute o della protezione civile. Per evitare però di essere vaghi e qualunquisti (per quanto possibile) proviamo allora a evidenziare i tre difetti essenziali riscontrabili nella condotta di tutta la vicenda, difetti imputabili (due) alle scelte del governo e (uno) all’architettura istituzionale della Repubblica. I problemi generati dall’atteggiamento del governo sono presto detti e sono tutti legati al fatto che si è scelta per giorni (diciamo da venerdì a ieri) la linea della drammatizzazione a ogni costo, plasticamente evidente grazie alle ripetute riunioni straordinarie dell’esecutivo addirittura fuori dalla sua sede naturale (Palazzo Chigi), sostituita dal quartier generale della Protezione Civile. L’emergenza al livello di massima allerta è quindi diventata la "cifra" stilistica della situazione, contribuendo in modo clamoroso a incoraggiare i media (televisioni in primis) a riversare ore e ore di trasmissioni sul tema, con l’effetto di rovesciare tonnellate di ansia sugli spettatori a casa. A tutto ciò va aggiunto però un certo dilettantismo nel considerare gli effetti su scala internazionale, probabilmente dovuto alla scarsa esperienza in tal senso di quasi tutti i membri del governo. Già, perché mentre i nostri partner europei più importanti (ognuno con i suoi metodi, come per esempio i francesi che hanno tenuto molto basso il numero dei test effettuati sulla popolazione alla ricerca dei contagiati) si sforzavano di versare acqua sul fuoco, noi ci buttavamo benzina, con il risultato che oggi rischiamo seri provvedimenti a danno della comunità nazionale, con effetti potenzialmente devastanti sul lato economico. A riprova di questi errori c’è la palese volontà di cambiare rotta che lo stesso presidente Conte sta provando a interpretare da ieri, cioè la giornata nella quale il governo ha compreso che di emergenza in emergenza stavamo finendo dritto dentro un disastro nazionale in buona parte generato da noi stessi, o per meglio dire dalla nostra classe dirigente. C’è infine un tema di suddivisione dei poteri nella Repubblica, che chiama in causa l’organizzazione su base regionale del sistema sanitario. Ebbene va detto che non tutto sta andando per il verso giusto, come dimostrano le polemiche tra Regione Lombardia e governo oppure i provvedimenti "solitari" di alcuni governatori (nelle Marche sono chiuse le scuole) contro il parere dell’esecutivo. Veniamo allora al punto centrale di tutta questa storia, che non può che essere di tipo politico. Al netto dello sforzo personale del tutto apprezzabile di molti ministri (Speranza in testa, ma anche De Micheli, Gualtieri, Lamorgese) il governo si dimostra fragile ed esposto non senza patemi anche a venti leggeri. È fragile perché poco in sintonia con il nord del Paese per evidenti ragioni (basta ricordare che tutti i governatori di quelle zone sono di destra), è fragile perché il M5S vive una crisi profonda ed è privo di leader nazionale e persino incapace di decidere quando darsi una nuova guida, è fragile perché il Pd deve ancora decidere se il Conte bis è il suo governo o, semplicemente, un "governo amico". In questo contesto a un certo punto (passata l’emergenza) si dovrà fare un bilancio, anche al Quirinale. E per ora tutto lascia pensare che sarà in rosso.

ROBERTO ARDITTI