Vicenda o storia, episodio di cronaca o fotografia della confusione imperante a livello politico? Comunque ancora fresca, anche se di un recentissimo passato. Questione di giorni, non mesi. Disatteso il monito di Mattarella. Il presidente della Repubblica Italina si era raccomandato caldamente, al premier Conte e ai numeri uno dei partiti al Governo e all’opposizione. "In sede di stesura del decreto Cura Italia limitare al minimo gli emendamenti".

Il richiamo è caduto nel vuoto, sul decreto si è abbattuta una pioggia di emendamenti. Tanti, ma quanti? Un numero impensabile, assurdo, inconcepibile, alla luce dell’urgenza e della drammaticità della situazione italiana martellata dal virus e dall’epidemia conseguente. Gli emendamenti al decreto sono stati 1.126. Sì, abbondantemente oltre il migliaio le eccezioni invocate dalle forze politiche operative nel Paese. Sono raccolti in un faldone accatastato in commissione Finanze del Senato.

Quante le pagine? Mille e settecento, è questa la risposta degli uomini politici italiani all’appello di Sergio Mattarella. Il presidente si è raccomandato, abbiano fine le polemiche, si silenzino i litigi, si cominci a lavorare tutti insieme, in nome della drammaticità del momento. Lavorare insieme, il tacito perentorio invito ad operare come il popolo italiano fece nel dopoguerra. Altri tempi, direte, e innanzitutto altri italiani e in particolare altri uomini di Governo.

Statisti autentici, quelli; superfluo precisare che oggi alla cloche operano uomini di ben altra statura, bassa rispetto a quello che si mise in azione alla fine della seconda guerra mondiale. "Quando l’unità del popolo italiano consentì la rinascita morale, civile, economica e sociale della nostra Nazione", e su questo ha posto l’accento nei giorni scorsa il capo dello Stato. "La stessa unità che ci è richiesta, oggi, in un momento difficile per l’intera comunità". Belle parole senza dubbio alcuno, però mai più vane. I litigi intanto proseguono, la Regione Lombardia non lesina accuse e appunti al Governo centrale; il presidente della Campania dissente una volta sì e l’altra pure; si distingue il Veneto, che spesso fa da sé e finora ha fatto bene; gridano dissenso alcuni sindaci. Il ping-pong dialettico a sfondo pesantemente polemico, qua e là, e sullo sfondo la Sanità praticamente mutilata dai tagli dei Governi che si sono succeduti negli ultimi quindici anni.

Ognuno ci ha messo del suo, Berlusconi, Monti, Renzi, l’accoppiata Salvini-Di Maio. Il prode avvocato Conte resta in attesa di giudizio. Parlerà la storia, l’ha detto lui stesso. L’appello del presidente del la Repubblica è caduto nel vuoto alla prima prova sul campo. Quelle 1700 pagine di emendamenti e ordini del giorno presentati al decreto Cura Italia da venticinque miliardi di euro. Un provvedimento che potenzia il Snn e offre sostegno a imprese e famiglie, sotto il tiro rischioso delle opposizioni e il filibustering anche della stessa maggioranza. In Parlamento, e non solo, si sono issate le bandierine dei partiti piuttosto che l’unità a battersi per una seria forma di difesa a sostegno delle misure del Governo.

Come detto, le proposte di modifica depositate a Palazzo Madama erano 1.126, aspettando che scadesse il termine per la presentazione dei sub-emendamenti e dell’inizio dell’esame da parte della commissione. Il centrodestra ne ha firmato più della metà delle proposte, 593; Forza Italia 221, la Lega 204, Fratelli d’Italia 168. Ma, sorpresa delle sorprese, il maggior numero di ritocchi sono venuti da un gruppo di maggioranza. Laddove era lecito e forse logico attendersi che la richiesta arrivasse da altri gruppi di minoranza.

Il premier Conte ha avuto il suo bel daffare per ridurre alla ragione di Stato i battaglieri leader delle opposizioni. Le diplomazie hanno dovuto tirare fuori il meglio delle loro capacità per sistemare la questione, nel momento in cui i numeri dell’epidemia ancora non avevano raggiunto il temuto picco. La deposizione delle armi, da parte dei contrari, è avvenuta in maniera problematica e decisamente non indolore. Italia Viva di Matteo Renzi ha presentato 110 emendamenti. E si è ritrovata in buona compagnia: il Movimento Cinque Stelle ne ha firmati 95. In entrambi i casi è stato sfiorato il tetto fissato in origine dai partiti di Governo, massimo 50 ciascuno. L’obiettivo palese era di ridurre al minimo il rischio di incidenti e rendere più agevole l’iter del decreto nei due rami del Parlamento. Al netto, ovviamente, del maxi emendamento col quale il Governo ha raccolto tutti gli aggiustamenti sopravvenuti in corso d’opera.

Le proposte erano davvero molto variegate. Giova ricordare, per puro scrupolo e dovere cronistico, alcune importanti. Quella invocata dal sindacato dei medici Anaao per la creazione di uno scudo penale e civile per chi lavora nei reparti Covid: la punibilità scatta solo in casi di lesioni intenzionali o colpa grave. Ma anche alcune idee un tantino originali, a voler usare un manzoniano eufemismo. I Cinque Stelle con Pirro e Floridia miravano all’istituzione di un servizio di un "servizio telefonico di nazionale di emergenza psicologica almeno fino al 31 agosto".

Capitanati da Salvini, i senatori leghisti chiedevano di sospendere fino al 30 giugno la possibilità di destituire il notaio che abbandona la sede di lavoro. De Bonis, ex grillino, esigeva di inserire nell’elenco degli immobili da requisire "tutti gli ospedali del Sud, censiti e abbandonati, previo immediato ripristino al fine del loro utilizzo". Momenti, schizzi di anormalità derivanti probabilmente dall’agitazione, dalla paura e dai timori generati dall’avanzata imparabile del Coranavirus. Altrimenti sarebbe difficile spiegare quei 1.126 emendamenti raccolti nel faldone di 1.700 pagine. Malgrado l’invito di Mattarella a semplificare.

Franco Esposito