Quella Cassandra di Giorgetti lo aveva detto in tempi non sospetti, lo raccontano in molti: "In Italia volevano fare accordi coi francesi contro i tedeschi e poi, tac, quelli fanno l’accordo, e ti rendi conto che c’è un europeismo a trazione tedesca". Il sottotesto evidente è che i 500 miliardi a fondo perduto che Parigi e Berlino propongono di mettere in campo al posto del Recovery Fund, in proporzione ai bisogni creati dalla pandemia sono una novità politica. Lo aveva detto, la Cassandra leghista, che, dopo la lettura dei giornali, ha consegnato una pillola di saggezza a qualche amico che tanto assomiglia a un messaggio a chi vuole intendere: "Vogliamo parlare di nazionalismo? Beh, il nazionalismo è la capacità di incidere facendo gli interessi nazionali con le regole date". Il che non fa una piega a livello teorico. Se il concetto viene poi confrontato con l’intervista data al Foglio da Claudio Borghi sulla necessità di "abrogare Giorgetti", posizionare la Lega su una linea anti-europeista, abolire il pareggio di bilancio, nutrirsi di scetticismo rispetto al sistema tradizionale di alleanze atlantiche, allora sì capisce di cosa si sta parlando. Ecco il punto: va bene la manifestazione del centrodestra, anche se ancora non c’è uno straccio di canovaccio, va bene la piazza a un metro di distanza, il recupero di un minimo di normalità dopo lo stato di eccezione ma una mobilitazione non basta senza un "progetto politico". O meglio, mantenendo una ambiguità su due progetti politici, la cui convivenza finora, nella Lega, è stata garantita dalla leadership di Salvini nella fase dell’ascesa prima, del potere poi, dell’opposizione facile fino a poco tempo fa: Borghi e Giorgetti, Bagnai e Zaia, la Lega sovranista e la Lega pragmatica dei produttori, il "no euro" e il "sì euro". Quel che sta accadendo, complice il declino nei consensi, il quadro mutato, il grido di dolore dell’Italia reale più rumoroso del ruggito di qualunque Bestia, è che questa tensione, dentro la Lega, è squadernata. E c’è un motivo se, negli ultimi tempi, il governatore del Veneto concede un’intervista politica al giorno, anzi sempre più politica, da interprete autentico del nord operoso e realista avvezzo a lavorare con gli imprenditori tedeschi, senza chiacchiere ideologiche sull’Euro, che rivendica l’autonomia perché "non oso pensare cosa sarebbe stata questa epidemia se tutto fosse stato gestito da Roma". In parecchi, fuori e dentro la Lega, hanno interpretato questo protagonismo guadagnato sul campo con una gestione efficiente dell’emergenza, senza polemiche politiche col governo nazionale e senza i disastri lombardi, come una candidatura alla leadership o, se preferite, l’affermazione di una leadership sostanziale, destinata prima o poi a diventare reale. In verità, il messaggio è tutto in una frase che Salvini ha capito bene. In quel "ma no, io vengo dalla campagna", professione di finta modestia con cui il governatore del Veneto ha smentito le sue ambizioni. È un messaggio (per Salvini) che suona più o meno così, detta in modo un po’ sbrigativo, ma che rende l’idea: io non ti vengo contro, non faccio né conte interne, né un’Opa ostile, né scissioni, ma è ora di scegliere una linea, meno improvvisata, meno da cazzari, che tenga conto dell’enorme bisogno di serietà e di governo che viene innanzitutto dal Nord, dopo la fase degli aperitivi, del "chiudiamo, ma anche no", "apriamo ma anche no", collaboro anzi non collaboro, "sosteniamo Draghi" anzi "usciamo dall’euro". Perché è evidente che il Nord è all’opposizione del governo, si capisce anche dalle parole del sindaco di Milano Sala, ma chiede un’alternativa di governo, non persa nell’ideologia del "no euro": soldi alle imprese, autonomia, una classe dirigente degna di questo nome, visto che dal Po in giù praticamente è inesistente e a fine settembre si vota. Ci risiamo, Salvini, che questi ragionamenti non li ha appresi dalle pagine dei giornali ma da una serie di confronti diretti, deve scegliere e comunque prima o poi sarà costretto a farlo perché quel che vale per il governo, e cioè che prima o poi la ricreazione finirà perché lo scenario emergenziale potrebbe diventare drammatico, vale anche per le attuali leadership in campo. In un recente incontro con un diplomatico Giorgetti si è sentito rivolgere questa domanda: "Ma la linea è quella tua o quella di Salvini?". Al momento la risposta non c’è. Ma ogni Cassandra che si rispetti si affida al tempo, sperando che non sia tardi.

ALESSANDRO DE ANGELIS