Sono tra quelli che pensano che non ci possa essere una ripresa per il Paese dopo l’emergenza drammatica che abbiamo vissuto, senza il protagonismo e le energie vitali del nord. Parlo della forza dei territori più colpiti dal virus, della capacità di lavoro e impresa dei suoi ceti produttivi, dell’energia del sistema della conoscenza che si è qui radicato a partire dalle università, del protagonismo della cittadinanza attiva nelle associazioni del terzo settore, dell’impresa sociale, del volontariato. Parlo dell’etica del lavoro di terre abituate a misurarsi con il mondo globalizzato prima della pandemia, anche coi loro limiti ed errori. Ma senza queste energie, chiamate a essere protagoniste della rinascita e della fase nuova che si è aperta, il Paese non può farcela.

Non ne faccio affatto una questione geografica, penso sia una questione nazionale che deve interessare tutti a ogni latitudine. Anche perché, sono convinto che un nord pienamente protagonista della ripartenza sia anche il miglior alleato del Mezzogiorno che deve essere messo nelle condizioni di fare la propria parte. Ma la questione settentrionale c’è e va compresa nella sua particolarità e nella fase storica diversa in cui siamo. Il punto è dotarsi di un progetto Paese coerente con questi bisogni e fare scelte economiche e sociali adeguate a questa ambizione.

Come supportiamo il nostro sistema produttivo, a partire dal manifatturiero e dal terziario, alla luce della scenario che abbiamo davanti che probabilmente vedrà la riorganizzazione delle catene del valore su basi geografiche più ristrette rispetto al recente passato delle filiere globali? Come applichiamo la svolta per l’economia verde? Come realizziamo quell’indispensabile salto di qualità nel sistema integrato della conoscenza? Come compiamo un balzo in avanti per le infrastrutture digitali e materiali? Come riscriviamo la statualità e l’esercizio dei poteri pubblici allineando finalmente responsabilità, velocità, semplicità e trasparenza? Come riscriviamo il patto fiscale? Come diamo piena centralità finalmente alla qualità del lavoro facendo della buona occupazione il cuore di un’idea di società?

Questi per me sono i temi decisivi che devono orientare le nostre politiche. Il lavoro che il Governo ha fatto in questi giorni mi pare sia stato utile e ora va tradotto in un preciso piano di scelte. Io continuo a pensare, ad esempio, che uno degli interventi più importanti debba essere legato a un taglio senza precedenti del costo del lavoro stabile. Alcuni ipotizzano un taglio di dieci punti percentuali per un investimento nell’ordine dei venti miliardi. Si potrebbe certamente partire dalla totale decontribuzione triennale per i contratti a tempo indeterminato dei giovani under 35 e focalizzare gli incentivi strutturali a partire dall’occupazione femminile. Una misura in grado di attivare lavoro di qualità per le persone e di sostenere chi crea occupazione. Stabilizzerei il sistema di incentivi di Industria 4.0 e introdurrei leve utili per sostenere la capitalizzazione delle imprese, introdurrei il salario di disoccupazione per aiutare chi perde il lavoro mentre si riqualifica e costruirei una misura ad hoc per le giovani generazioni con una dote certa da investire nella loro formazione permanente individuale.

E poi attuerei misure nette ancora sul fronte della lotta all’evasione fiscale anche con scelte molto spinte a favore della moneta elettronica. E dovremmo attuare una riforma fiscale per sgravare finalmente i redditi da lavoro, le famiglie e le imprese che reinvestono utili e chiedere di più alle rendite. Inoltre, penso sia inevitabile e giusto toccare anche nodi complessi ma non più rinviabili come la riscrittura dell’abuso d’ufficio che oggettivamente così com’è non può andare. Il tempo delle scelte è ora. L’Europa ha dato segnali insperati fino a poco tempo fa, ma adesso bisogna avere la grande capacità di tradurre le opportunità in fatti, in scelte, in tempistiche precise, in impegni definiti. Mi è capitato di dire che in questi mesi il Partito Democratico ha contribuito in modo decisivo a presidiare questa svolta cruciale "ai piani alti" della casa comune che rischiava di bruciare.

Sì, perché l’Europa poteva bruciare e noi con essa. Invece l’incendio è stato domato e l’Unione ha risposto segnando novità importantissime per il futuro. Ora però, noi in particolare, dobbiamo saper presidiare sopratutto il "piano terra" della casa, gli aspetti cruciali della vita quotidiana. Parlo della questione sociale, economica e produttiva e del rapporto con la carne viva del paese nei prossimi mesi delicatissimi. Bisogna davvero metterci tutta la forza che abbiamo.

MAURIZIO MARTINA