Mangiano i cani. Diecimila cani in dieci giorni. Mille cani al giorno. Perché il cane, in Cina, è piatto prelibato dalle energetiche qualità. Il cane – quel cane che un italiano su due ospita nelle proprie case, e che considera come un membro attivo della famiglia – viene ammazzato sul posto dunque bollito ancora vivo, ma anche proposto alla griglia, cucinato in agrodolce, stufato o marinato con spezie e infine servito con del riso bianco e lychee. È questo quello che accade al noto festival della carne di cane di Yulin, megalopoli cinese da 3 milioni di abitanti nello Shaanxi. La città dal 2009 propone ogni anno in occasione del solstizio d’estate una barbarie atroce, oscurata con forza e talento dai media cinesi agli occhi del mondo, e sostenuta dal mantra "mangiare carne di cane non è diverso che mangiare maiali o manzo".

Eppure anche in Cina, dove il consumo annuale viene stimato dai 10 ai 20 milioni di esemplari, cani e gatti sono ormai stati classificati come animali da compagnia. A febbraio infatti Pechino – a seguito del Coronavirus, e della seguente indignazione mondiale nei confronti dei cinesi propensi a mangiare per antiche credenze specie selvagge ed esotiche – ha deciso di mettere pubblicamente al bando l’atroce pratica. La presa di posizione aveva avuto il plauso mondiale, peccato che non pare essere stata seguita da alcuna conseguenza. Attualmente, ad ammantare tutto di silenzio ci sono le difficoltà a reperire informazioni attendibili da parte dei media cinesi. Una manciata di associazioni, fra cui la Humane Society International, si sono battute per salvare dei cani con aerei ad hoc.

Un report del dell’attiva associazione AnimalsAsia già nel 2015 sosteneva come, poiché in Cina non esistono allevamenti intensivi di cani, nel corso del festival siano sacrificati cani randagi o animali rubati ai loro legittimi proprietari. Medesime vittime dei regolari consumatori di carne di cane e di gatto nel Paese del Sol Levante. Da proprietaria di due cani, non potrei immaginare il dolore, la rabbia e la frustrazione derivante da una violenza di questo tipo. È atroce immaginare il proprio animale d’affezione – con cui si condividono le giornate, ma anche i pranzi e le notti – come un involtino di carne servito per pochi yuan in nome della ridicola convinzione che le carni siano particolarmente rinvigorenti. Eppure, è questo quello che accade – anche quest’anno – nel cuore della roccaforte cinese che si vanta di cambiare, ma che non pare cambiare mai.

Flavia Piccinni