La parola "quarantena" non mi piace, ha sapore di passato; di epoche in cui la medicina non riusciva a prevalere sulle infezioni di noi, esseri umani. Ma perché la parola "quarantena"? Il termine deriva da quaranta giorni, la durata típica dell’isolamento in cui venivano sottoposte le navi provenienti da zone colpite dalla peste dal secolo XIV: un isolamento forzato per limitare la diffusione di malattie contagiose. Venezia fu la prima a emanare provvedimenti per arginare la diffusione della peste, nominando tre tutori della salute pubblica nei primi anni della Peste Nera, seguì poi Reggio Emilia nel 1374. Il primo lazzaretto fu fondato da Venezia nel 1403, su una piccola isola contigua alla città, denominata oggi "Lazzaretto vecchio". Nel 1467 Genova seguì l'esempio di Venezia, mentre nel 1476 il vecchio ospedale per lebbrosi di Marsiglia fu convertito in un ospedale per gli appestati. Le pratiche in tutti i lazzaretti del Mediterraneo non erano differenti dalle procedure inglesi durante i rapporti commerciali con il sudovest asiatico e con il Nordafrica.

Con l'approssimarsi del colera, nel 1831 furono costruiti nuovi lazzaretti nei porti occidentali, dopodiché vennero usati per altro. Come curiositá va detto che il Regno Unito era solito ordinare per tutti i cani introdotti nel Paese un periodo di sei mesi di quarantena in un canile dell'"Her Majesty’s Customs and Excise", per il rischio di importare la rabbia dall’Europa continentale. Va anche segnalato che la quarantena ricorda una delle dolorose tappe che precedevano lo sbarco degli emigranti in America: ricordiamo cosí l’isola Ellis vicino New York, ma fu anche il caso di centinaia di migliaia di emigranti italiani e spagnoli, costretti nel secolo XIX (ma anche all’inizio del secolo XX) a rimanere in quarantena nel Rio de la Plata. La "Isla de Flores", sita a 20 chilometri dalla costa di Montevideo, era il luogo dove si confinavano molti emigranti giunti in Uruguay. Era in queste occasioni che "si classificavano" emigranti e mercanzie, prima di essere autorizzati a sbarcare.

Poi ci siamo dimenticati - almeno nel mondo in cui vivo - della quarantena: la quarantena era di altri tempi o, al limite, di zone sperdute del pianeta. Come fatto recente solo ricordo la quarantena degli astronauti protagonisti delle prime missioni lunari, al loro ritorno dallo spazio. Ma ecco che di colpo - imprevedibilmente da tre mesi - la parola "quarantena" é presente nel nostro vocabolario quotidiano. Se vogliamo essere proprio ottimisti, il COVID 19 ha ridotto la quarantena sanitaria a 14 giorni, ma é pur vero che parliamo e assistiamo a una quarantena generale per riferirci a situazioni come quella di Buenos Aires e altre cittá del mondo, dove gli abitanti non possono scendere per strada e non si sa per quanto tempo. Oggi, la realtá mostra che tutti abbiamo iniziato a vivere in una societá "a rischio di quarantena", perché sappiamo che un aumento imprevisto di contagi, può avere come rapide conseguenze, per cui i rispettivi governi non esiteranno a rinchiuderci nelle nostre case. Se poi si scopre che siamo stati a contatto con persone contagiate, la quarantena é cosa sicura: non c’é neanche da aspettare decisioni del governo.

Limitati al massimo i viaggi, gli spettacoli, le feste, l’attivitá scolastica e le riunioni ludiche o sportive, ritorniamo ad un'epoca, che credevamo aver lasciato indietro per sempre. In un bel libro - "La societá globale del rischio" - , l’autore tedesco Ulrich Beck diceva pochi anni fa che viviamo in una societá che ha l’ossessione di eliminare ogni rischio dalla nostra vite, ma il paradosso é che piú forte é il desiderio di eliminare rischi e piú i rischi appaiono da ogni parte. E questo lo scriveva quando ancora non era apparso il flagello virale. "Il coronavirus - afferma il filosofo Carlo Mazzucchelli - ha dimostrato che non siamo immortali e non possediamo il controllo su tutto, anzi piú pensiamo di avere ampliato il nostro controllo e piú le catastrofi e le crisi emergono e si manifestano". La diffusione massiva di notizie, numeri, grafici, stime e previsioni ha finito per avvelenare il nostro permanente stato di paura. È proprio il sentimento comune a tutti noi del "rischio di quarantena" che esprime l’incertezza di una societá, che non sa bene oggi come ripartire. Strano destino quello della nostra postmodernitá, che in materia di salute retrocede a esperienze di secoli fa!

JUAN RASO