"Stiamo giocando a La Paz (a 4mila metri di altitudine) contro la Bolivia e siamo zero a zero alla fine del primo tempo". Questa metafora calcistica aiuta a comprendere la situazione che sta vivendo l’Uruguay dopo quattro mesi di coronavirus nel pieno di quella che è stata ribattezzata la nuova normalità. Le parole, che si sentono ripetere spesso ultimamente, sono state pronunciate dallo scienziato Rafael Radi a capo del gruppo degli esperti che consiglia il governo uruguaiano.

Per quanto difficile possa essere e pur senza abbassare la guardia, l’Uruguay sta riuscendo a contenere i contagi diventando per molti un modello anche se la partita è ancora tutta da giocare. Ancora una volta, Montevideo rappresenta una vera e propria anomalia rispetto a suoi vicini dove il Covid 19 sta dilagando con effetti devastanti. L’ultima certificazione è arrivata dall’Unione Europea che ha lo ha inserito -unico caso in America Latina- nell’elenco dei pochi paesi autorizzati a entrare.

A destare preoccupazione però, in queste ultime settimane, è stata l’apparizione di un nuovo focolaio nel dipartimento di Treinta y Tres (zona orientale confinante con il Brasile) dopo un periodo di entusiasmo che aveva portato il numero di persone contagiate a 15, il punto più basso in questi mesi.

Era il 13 marzo -meno di due settimane dopo l’assunzione del nuovo esecutivo di Lacalle Pouquando venivano confermati i primi 4 casi nel paese che dichiarò subito l’emergenza sanitaria. Oggi i numeri del Sistema Nacional de Emergencias (Sinae) parlano di 31 morti, 55 attualmente positivi e nessun caso grave in terapia intensiva. Su un totale di quasi 80mila test realizzati, il numero di casi positivi accumulati in quattro mesi è di 989. 152 sono stati i casi riscontrati all’interno del personale sanitario di cui 143 guariti, 8 ancora positivi e una vittima. La mappa del coronavirus nel frattempo è cambiata: la maggior parte dei contagi si concentrano a Trenita y Tres che ha abbondantemente superato Montevideo e poi ancora: Cerro Largo, Maldonado, Caneloes, Tacuarembó, Artigas, Rivera e Paysandú. Questa nuova distribuzione conferma che un grande pericolo continua ad essere quello proveniente dal Brasile e in modo particolare dalle città di frontiera che sono difficili da gestire.

Il pieno della stagione invernale, che era vista inizialmente come una minaccia, non sta avendo fino al momento alcun effetto: non solo, le malattie respiratorie tipiche della stagione, sono addirittura in diminuzione rispetto allo scorso anno come indicano i sorprendenti dati dei centri di salute.

Con la sfida di abbassare la curva dei contagi come già successo poco tempo fa, l’Uruguay oggi si trova immerso in questa nuova normalità tra aperture e rispetto dei protocolli sanitari. Quasi tutto è tornato: le scuole, le terme, i concerti (gli unici in America Latina) e a breve anche il calcio. Il secondo tempo di questa partita sta per iniziare.

Matteo Forciniti