In Italia i giornali l'avevano chiamato 'l'ambasciatore delle parolacce', ma una volta arrivato a Roma, Peter Secchia era subito diventato 'il cugino Pete'. Era il 1990 e il primo nickname si doveva ad alcune dichiarazioni forti rilasciate un paio di anni prima, ma una volta che il Presidente George Bush Sr. l'aveva nominato ambasciatore a Roma, carica tenuta dal 3 luglio 1989 al 20 gennaio 1993, le cose erano subito cambiate. Famiglia italiana da parte del padre, originaria di Masserano, un borgo piemontese non lontano da Biella, Peter Secchia, businessman, milionario, arguto e profondo politico (Repubblicano in todo) e soprattutto filantropo, fino alla fine dei suoi giorni è stato benvoluto da tutti, in particolare nel Michigan dove risiedeva. Se n'è andato a Grand Rapids la scorsa settimana, il 21 ottobre, a 83 anni (era nato il 15 aprile 1937), malato da tempo non è riuscito a superare il COVID, lasciando una forte eredità di valori, molti dei quali proprio italiani, in primo luogo la famiglia. E con l'Italia ha sempre avuto un rapporto stretto, orgoglioso delle sue origini.

"L'Italia - aveva detto appena assunta la carica di primo rappresentante degli Stati Uniti nel nostro Paese - non è solo gondole e pizza, rovine romane, torri pendenti, musica e vino. Gli italiani sono maestri in tecnologia applicata e nella industria tradizionale. L'Europa è il nostro mercato futuro e gli italiani dovrebbero essere i nostri partner commerciali". Guardava sempre avanti Peter Secchia. "I nostri leader aziendali - diceva - dovrebbero imparare le lingue e le culture delle nazioni con le quali vorrebbero collaborare". Ammettendo però che non sarebbe stato facilissimo. "Anch'io ho avuto problemi a imparare l'italiano - diceva scherzando, ma non troppo - verbi, preposizioni, lo stesso che mi era capitato con l'inglese... Ma no, le parolacce non me le hanno insegnate".

Masserano, in provincia di Biella

Secchia è stato ambasciatore degli Stati Uniti in Italia in un periodo particolare per la nostra storia: il crollo della Prima Repubblica, sentenziato poi dalle elezioni politiche del 27 marzo 1994. Durante il proprio mandato, a Secchia da Washington venne chiesto, più di una volta, di chiarire che cosa stesse succedendo in Italia. E in rapporti, allora segreti, poi divulgati, Secchia rispose con un eloquente "Change is in the air in Italy". Un cambiamento nell'aria e un dossier americano che era poi focalizzato, in massima parte sul Presidente Francesco Cossiga. Così toccò a Secchia spiegare le metamorfosi di Cossiga e all'epoca l'ambasciatore per capire meglio la situazione italiana e del Quirinale, consultò il segretario generale al Colle Sergio Berlinguer, cugino dell'ex segretario del PCI Enrico Berlinguer e parente dello stesso Cossiga.

Protagonista da via Vittorio Veneto a Roma, sede dell'ambasciata degli Stati Uniti, una volta lasciato l'incarico con l'avvento alla Casa Bianca di Bill Clinton, Secchia che prima e dopo i quattro anni italiani era stato CEO di diverse aziende, strinse ancora di più i suoi legami con la comunità italo-americana degli Stati Uniti. Cavaliere di Gran Croce, riconoscimento ricevuto dall'Italia, con la sua fondazione ha donato, negli anni milioni di dollari, a cominciare dal suo Michigan e in particolare a Kent County. Ha dato il nome a uno stadio per il softball alla Michigan State University, ma anche alla sede del Partito Repubblicano. "Per decenni l'ambasciatore Peter Secchia è stato un grande sostenitore del Partito Repubblicano - ha dichiarato Laura Cox presidente del Grand Old Party del Michigan - dei nostri candidati e delle nostre cause. Ed è davvero appropriato che il suo nome campeggi sull'edificio che ci ospita, perchè Secchia ha sempre incarnato il tipo di forza e lotta che tutti nel nostro partito dovrebbero avere per le cause in cui credono. E la sua filantropia e generosità si sono sempre estese oltre la politica. I suoi sforzi sono stati senza eguali".

E gli italo-americani lo possono confermare. Per 12 anni ha fatto parte del consiglio di amministrazione della John Cabot University di Roma, quindi membro del NIAF, National Italian American Foundation, ma anche presidente della sezione del West Michigan dell'Order of Sons of Italy in America inaugurando anche la Festa Italiana, appuntamento che dal 1978 si tiene a Milwaukee, nel Wisconsin, il più grande della regione. Ma per anni ha anche contribuito, fattivamente, a tante iniziative in particolare borse di studio della NIAF che offrivano viaggi-studi proprio in Italia, aiutando in questo modo i più giovani a conoscere il Paese della sua famiglia.

Roberto Zanni