Impieghi poco qualificati, sottoccupazione, sostanziale segregazione. Il mercato del lavoro in Italia penalizza fortemente le donne e specialmente nel Sud. Nel 2017, anche se il dato non è definitivo, il tasso di disoccupazione femminile si attesta sul 12,4% e nel Mezzogiorno tocca addirittura il 21,9% nei primi tre trimestri, mentre quello maschile si attesta sotto il 18%, a conferma che nel gap occupazionale italiano incide molto la vecchia questione meridionale.

Problematica e fortemente deficitaria si presenta, in particolare, la situazione per Campania, Calabria e Sicilia. Anche in Puglia la situazione appare particolarmente grave, con un tasso di occupazione femminile intorno al 33%. Se la situazione al Sud è fortemente deficitaria, non è che nel resto d’Italia il quadro sia migliore: eccettuata la provincia autonoma Alto Adige/Südtirol che registra un 65%, la regione con la migliore performance è l’Emilia-Romagna che nel 2016-17 si attesta sul livello medio dei “vecchi” stati dell’Unione a 15 (62%); nei primi tre trimestri del 2017, il Veneto si ferma al 57% e fa un po’ meglio la Lombardia anche se resta sotto la soglia del 60%.

Secondo un rapporto curato da Lorenzo Birindelli per conto della Fondazione Giuseppe di Vittorio, «i recentissimi miglioramenti sono ovviamente i benvenuti, ma per ridurre sensibilmente il divario con le regioni più avanzate d’Europa ci vorrebbero molti anni di robusta crescita, soprattutto nel Mezzogiorno, dove rimane in piedi il problema principale, vale a dire regioni con tassi di occupazione femminile al 30%». Anche tra i lavoratori indipendenti, d’altra parte, le donne rappresentano meno del 30%. È un quadro fosco quello che riguarda la condizione femminile nel mercato del lavoro italiano che emerge dall’analisi di Birindelli.

Tanto da far dire a Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil, che «Il lavoro delle donne in Italia continua ad essere caratterizzato da segregazione occupazionale, impieghi poco qualificati, employment gap, sottoccupazione. Record negativi che allontanano ulteriormente il nostro mercato del lavoro dai livelli degli altri Paesi europei». Molto ancora resta da fare, come sostiene il titolo della ricerca, anche se la percentuale delle donne occupate è cresciuta. Soprattutto per adeguarci ai tassi di occupazione europei.

L’Italia, secondo lo studio della Fondazione di Vittorio, presenta un gap di oltre 18 punti (dati provvisori Istat 2017) tra il tasso di occupazione maschile (67,1 %) e femminile (48,9%). Il nostro paese resta così maglia nera tra gli stati dell’Unione Europea. Solo nel caso di Malta si registra un gap di genere nei tassi di occupazione (15-64 anni) di ampiezza superiore, nonostante un tasso di occupazione femminile (54%) ampiamente migliore di quello italiano. In Grecia, invece, lo scarto è delle stesse proporzioni di quello italiano, e, insieme all’Italia, la Grecia è l’unico Paese a presentare un tasso di occupazione femminile inferiore al 50% (45%). In Francia e Germania, l’employment gap è del 7%, nel Regno Unito del 9% e in Spagna dell’11%. In Germania e Regno Unito il tasso di occupazione femminile è intorno al 70%, in Francia supera il 60% e in Spagna si attesta sul 56%, mentre in Italia si attesta intorno al 49%. E la forbice si allarga tra centro-nord e sud del Paese.

Secondo la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti «le donne italiane risultano svantaggiate anche sul fronte della qualità e delle tipologie di occupazione». E ciò perché «vi è un’incidenza maggiore del lavoro a termine e del ricorso al part-time (nel 2016 34% contro l’8,6% per gli uomini), specie involontario». Per Scacchetti, in particolare, «colpisce lo sbilanciamento tra i lavoratori e le lavoratrici indipendenti con la quota femminile ferma al 31%, e il livello da un lato di segregazione di genere e dall’altro di prevalenza di genere raggiunto in determinati gruppi socio-professionali: se tra gli operai dell’industria e nella fascia alta di imprenditori e dirigenti le donne si attestano al 13,5% e al 26,7%, nell’assistenza alle persone e nei lavori non qualificati dei servizi , la quota raggiunta è pari all’88,2% e al 77,6% (elaborazioni su dati Eurostat 2016)”.

Anche perché il differenziale di genere si traduce anche in termini di reddito da lavoro: “nel 2014, ultimi dati disponibili, il reddito guadagnato dalle donne è in media del 24% inferiore agli uomini (14.482 rispetto a 19.110 euro). Il quadro complessivo delineato dallo studio di Lorenzo Birindelli, secondo il quale anche la qualità dell’occupazione femminile in Italia si declina sotto il profilo della composizione socio-professionale, per cui essere occupate è per le donne una condizione fortemente associata al livello di istruzione raggiunto, per Scacchetti rende urgente «favorire lo sviluppo e la crescita professionale delle donne in tutti i settori e in tutte le professioni perché decisivi per la crescita, in termini di Pil e di benessere complessivo della società.  Il lavoro inoltre è la principale “arma” di contrasto alla violenza delle donne. Per questi obiettivi come ieri e per domani, la Cgil continuerà a battersi».

Elida Sergi