In cinque mesi di governo è la seconda volta che Luigi Di Maio evoca la “manina”. Era successo con il decreto dignità, è di nuovo accaduto ieri con quello fiscale. Una sindrome, quella del complotto, che accompagna i Cinque Stelle fin dalla nascita. E che riemerge soprattutto nei momenti di difficoltà, quando individuare un nemico esterno aiuta a uscire dall’impasse.

Era metà luglio quando nella relazione tecnica allegata al decreto dignità spuntò la cifra choc di 8mila contratti a tempo determinato in meno ogni anno per un decennio, come effetto della riforma. Un numero «senza alcuna validità», aveva tuonato Di Maio, «apparso la notte prima che il decreto venisse inviato al Quirinale». Poi l’affondo: «Non è un numero messo dai miei ministeri o da altri ministri della Repubblica. La verità è che questo decreto ha contro lobby di tutti i tipi».

La caccia alla “manina” era partita subito. Nel mirino il ministero guidato da Giovanni Tria e la Ragioneria generale dello Stato, ma anche l’Inps guidata da Tito Boeri. Quei tecnici cui il M5S ancora oggi guarda con estrema diffidenza e a cui addossa la responsabilità di frenare il cambiamento. Con il decreto fiscale la strategia è stata simile: sconfessare l’ultima bozza del provvedimento - che allarga le maglie del condono con tanto di scudo penale, anche per i casi di riciclaggio - accusando una «manina politica o tecnica» di essere intervenuta nello stesso tragitto: quello tra Palazzo Chigi e il Colle.

La differenza sta nel fatto che il sospetto si estende all’alleato di governo, nonostante la versione rassicurante sui rapporti con la Lega fornita da Di Maio nel salotto di Bruno Vespa. È la prima volta che il vicepremier pentastellato adombra pubblicamente la possibilità di un inganno da parte dei leghisti. Che infatti hanno reagito con stizza: «Noi siamo gente seria e non sappiamo niente di decreti truccati».

Una presa di distanza nel merito e nel metodo che rivela il peso delle tensioni interne: con il Movimento in difficoltà con la sua base per le troppe concessioni (dal Tap al ruolo di Autostrade ampliato nel decreto Genova) e il Carroccio determinato a brandire l'arma del condono per far digerire al suo elettorato il reddito di cittadinanza.

Che il complottismo sia nel Dna del M5S è difficile da negare. Il repertorio è vasto. Si va dalle celebri frasi di Carlo Sibilia, oggi sottosegretario all’Interno, sulla «farsa dello sbarco sulla Luna» e sulle teorie sul «signoraggio bancario», al “complotto dei frigoriferi” consegnato dalla sindaca di Roma Virginia Raggi per spiegare il caos rifiuti nella Capitale: «È un po’ strano, ci sono frigoriferi che invece di essere portati all’isola ecologica vengono buttati vicino ai cassonetti e non è mica un lavoro semplice portarli lì, non so neanche come facciano. Però il frigorifero è già tutto sfondato e graffiato. Mi sembra strano...».

Paola Taverna, attuale vicepresidente del Senato, nell’inverno del 2016 avvisò i romani: «Potrebbe essere in corso un complotto per far vincere il Movimento Cinque Stelle a Roma. Centrodestra e centrosinistra stanno mettendo in campo dei nomi perché non vogliono vincere Roma, si sono già̀ fatti i loro conti».

Angelo Tofalo, oggi sottosegretario alla Difesa, 14 anni dopo le Torri Gemelle scriveva su Facebook: «Da ingegnere, da portavoce del #M5S, da cittadino del mondo, non smetterò mai di cercare la verità̀ su quel terribile 11 settembre del 2001». Ma sono i «poteri forti» i più citati dai Cinque Stelle come occulti oppositori. D’altronde, lo stesso Beppe Grillo dal suo blog è stato uno dei più fertili divulgatori di teorie del complotto, da quelle sui vaccini alla presunta cospirazione alla base della strage di ulivi in Puglia.

Al comizio di Nettuno di settembre 2016, quando bisognava ricompattare il Movimento travolto dalla bufera romana del caso Muraro, il garante del Movimento tuonò: «La reazione di questo sistema a noi è una cosa bellissima! Ma è poca... Mi aspettavo molto di più, aspettavo un avviso di garanzia a me, aspettavo cinque chili di cocaina nella macchina, aspettavo che finalmente scoprissero che Di Maio è un omosessuale!». Si ripete lo schema: la versione è sempre quella di un “noi” osteggiato da indefiniti “loro”.

E se prima le ricostruzioni fantasiose potevano sprecarsi in libertà ( celebre il caso del deputato Paolo Bernini convinto che «in America hanno cominciato a mettere i microchip nel corpo umano per controllare la popolazione»), adesso che il M5S è al governo dietrologie e retroscena si sono trasformati nelle “manine”. Avversari in carne e ossa.

Manuela Perrone