Regaleremo il sorriso agli italiani, aboliremo la povertà, cambieremo il Paese intero, e udite udite, garantiremo la felicità di tutti. Caro Luigi Di Maio, ma lei pensa di essere Filangeri, che suggerì l’idea del diritto alla felicità, a Franklin? Va bene, era compaesano, ma insomma abbia pudore, oltretutto la nostra carta, per quanto somma, non inizia con: we the people.

Veda ministro, lei assieme a molta della sua comitiva, dichiara spesso “cretinaggini”, solo per suggestionare, illudere, insomma prendere in giro. Noi, caro Luigi, non soffiamo della sindrome di Condorcet, Spencer, oppure Hobbes, sullo sviluppo dell’umanità, ma i capelli bianchi sono arrivati dopo studi e battaglie, inciampi e scontri, esami e confronti, con tutto
e tutti. Insomma, siamo cresciuti attraverso esperienze e conoscenze, e oggi, a farci prendere in giro, da chiunque sia, noi non ci stiamo.

Di Maio, lei parla di riforme, cambiamento, discontinuità, parla di Terza Repubblica e di aria nuova, ma di che parla scusi? Si riferisce forse all’assistenzialismo, alla prescrizione, al rifiuto delle infrastrutture, alle manette basta che respiri? Si riferisce forse al decreto dignità contro la flessibilità, ai termovalorizzatori da non fare, allo spoil sistem che avete attaccato, salvo poi, fare le nomine per appartenenza e non per selezione? Si riferisce alla censura su giornali e giornalisti, sulla divulgazione scientifica, sullo sport e sulle Olimpiadi?

Egregio ministro, ma di che parliamo? Qui siamo ai soviet, altro che sorriso. Ma lei lo sa come nasce veramente una nuova Repubblica? Lo sa che serve una nuova costituzione? Una carta riformata per intero, liberale, garantista, solidale, più moderna e non da Medioevo, come volete voi, altro che felicità. Per dare crescita, benessere, lavoro e fiducia a tutto il Paese, caro Luigi, serve il contrario di quello che dice. Un fico leggero, semplice, amicale e non uno spione d’apparato militare, uno Stato minimo, efficiente, che aiuti i cittadini a risolvere e non a maledire la burocrazia, una giustizia rapida che dia certezza, piuttosto che lasciarti in eterno nell’attesa.

Serve al Paese, un credito rapido all’impresa, agevolazione dell’iniziativa, dell’occupazione quando è richiesta; serve, insomma, libertà economica, meno divieti e regole borboniche, per farla breve, stimolare lo sviluppo. Questo sarebbe il cambiamento vero, caro ministro, altro che saluti e feste dal balcone, come ai tempi di botteghe oscure. Ecco perché diciamo che non ci lasceremo prendere in giro, anzi a proposito le diamo un bel consiglio, vada in America pure lei, ma non al sud come il suo amico falce e martello, vada al nord e guardi attentamente. Se poi lei, egregio ministro, non volesse andare, le suggeriamo allora una lettura visto che parla di felicità, il libro è: “La Democrazia in America”. Lo legga, lo ha scritto Tocqueville. Se lo ricordi, Tocqueville, e non Rousseau.

REDAZIONE CENTRALE