Hartmut Hopp è un uomo libero. Secondo la giustizia tedesca il boia di Colonia Dignidad, il numero due della setta tedesca in Cile dove per decenni furono torturati e uccisi innumerevoli oppositori del regime di Pinochet, non è condannabile.

Il tribunale di Krefeld è convinto che "non ci siano abbastanza prove" per giudicare il notorio ‘ministro degli Esteri’ della setta di pedofili che a partire dal 1961 fu teatro di crimini orribili.

Un inferno noto alla cronache sin dagli anni '60 per il sistematico abuso e stupro di centinaia di bambini. E per le botte, gli elettroshock e le pesantissime cure a base di psicofarmaci cui erano sottoposti gli adepti, o meglio, i prigionieri trattenuti nella colonia. Sui suoi terreni, peraltro, Hopp e i suoi consentirono alla dittatura militare di condurre esperimenti per armi chimiche, batteriologiche e biologiche, dato che il posto era spacciato per un’innocua colonia di educatori. Colonia dignidad è uno dei più grandi scandali del dopoguerra tedesco. E per i giudici tedeschi non ci sono colpevoli.

Raggiunto al telefono, Andreas Schüller, uno degli avvocati dello studio legale Ecchr che nel 2011 ha intentato una causa penale contro Hopp, spiega a Repubblica di essere "scandalizzato per una sentenza che dimostra che Colonia Dignidad resta un capitolo buio della storia giudiziaria della Germania. La nostra fiducia nel sistema giudiziario tedesco ne esce molto scossa. E’ dal 1965 che in Germania si sa degli abusi contro i bambini e delle violenze".

Degli anni Settanta sono i primi allarmanti rapporti di Amnesty International e dell’Onu. Ma la setta fu sciolta solo nel 1991, dopo la fine della sanguinosa dittatura militare. Nel 2011 la giustizia cilena aveva ritenuto Hopp corresponsabile degli stupri e degli abusi di bambini commessi nella colonia fondata dal pedofilo Paul Schaefer. Ma l’ex direttore dell’ospedale della setta era scappato nel suo paese d’origine. E nel 2018 il tribunale di Duesseldorf ha ritenuto quella sentenza non applicabile in Germania. Adesso questo secondo, incredibile verdetto di un processo voluto dallo studio legale noto per le sue battaglie civili. Sette anni e mezzo dopo "indagini condotte in modo molto approssimativo" secondo Schüller, la sentenza di Krefeld rischia di riaprire una ferita dolorosa: molte vittime degli abusi e delle torture sono ancora vive.

E quelle che l’Ecchr aveva indicato come testimoni pronti a parlare, "sono state sistematicamente ignorate". E il loro carnefice può continuare a fare indisturbato la sua vita in patria.

Una testimone ignorata è Gudrun Müller, ad esempio. "Suo marito", racconta Schüller, "ha potuto riferire delle cure pesanti con gli psicofarmaci che gli inflissero lì". Molte testimonianze parlano di bambini ridotti sostanzialmente a zombi. "Ma la moglie non è mai stata ascoltata dai giudici: perché?". Un’altra falla evidente nel processo riguarda gli abusi sessuali imputati a Hopp. Schüller ricorda che nel processo cileno "una testimonianza di due pagine parlava dei suoi abusi. Per la giustizia tedesca, quelle due pagine erano insufficienti. Perché non hanno indagato per sostanziare meglio quelle accuse?". E invece, per i togati di Krefeld le prove sarebbero "insufficienti", anche quelle che lo indicano come corresponsabile nell’omicidio di tre oppositori di Pinochet scomparsi nel 1976. Secondo il politologo Jan Stehle, che da anni si occupa di Colonia Dignidad, "la decisione di Krefeld è uno schiaffo alle vittime. Che neanche furono ascoltate, in parte". Ma l’avvocato Schüller non si da per vinto: "stiamo valutando se fare ricorso", ci svela. Nell’attesa, Hopp è un uomo che per la giustizia tedesca non ha nulla da rimproverarsi. Un po' come Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, i due top manager tedeschi ritenuti responsabili dei sette morti nel rogo Thyssen di Torino del 2007. C'è un mandato di cattura esecutivo che da due anni nessuno si premura di eseguire. E come abbiamo scoperto noi di Repubblica, i due ex manager dello stabilimento piemontese hanno persino ripreso a lavorare al quartier generale del colosso dell'acciaio, a Duisburg. Come se la giustizia italiana non esistesse.