Dai libri alla vendita di qualsiasi cosa. E al cloud. E ai supermercati senza casse. Venticinque anni fa, il 5 luglio 1994, Jeff Bezos fondava Amazon.

Bezos si laurea a Princeton in ingegneria elettrica e computer science. Lavora nel settore tecnologico, ma fa carriera in quello finanziario. A 30 anni è vice-presidente di un fondo d'investimenti, D. E. Shaw & Co. Quando una giovane segretaria e aspirante scrittrice viene assunta, s'innamora della rumorosa risate del manager. È MacKenzie Tuttle, futura ex signora Bezos.

Jeff ha un'idea che gli frulla per la testa: si chiama e-commerce. Molla la D. E. Shaw & Co. per vendere libri online e investendo di tasca propria 10 mila dollari. Le idee, però, sono chiare sin dall'inizio: le pagine sarebbero state solo l'inizio. La società viene registrata con il nome "Cadabra". Quando il primo consulente legale lo legge per la prima volta, fa notare a Bezos che suona molto simile a "cadaver" (cadavere). Un tantino macabro per un sito di e-commerce. Il fondatore si convince. Valuta Relentless.com (indovinate dove rimanda questo indirizzo oggi) e opta poi per Amazon, nome americano del Rio delle Amazzoni. Il fiume entra anche nel primo logo: una "A" solcata da un corso d'acqua. Gli inizi, come hanno più volte raccontato Bezos e la moglie, non sono semplici.

Non è tempo di scialacquare: la coppia si occupa di qualsiasi cosa, dalla contabilità alle spedizioni. La foto di Bezos nel suo ufficio, solo, non certo in forma, con la scrivania invasa dai cavi eamazon.com scritto con una bomboletta spray su un pannello di plastica è diventata un meme motivazionale.

Ha diverse versioni, ma suonano più o meno così: quando pensate di mollare, ricordatevi che questo signore è diventato l'uomo più ricco del mondo. In realtà in quell'ufficio Bezos non ci rimane a lungo. Quando il sito va online, nel luglio 1995, un contatore emette un trillo a ogni ordinazione. Per evitare di impazzire, i pochi dipendenti di Amazon lo disattivano dopo qualche giorno: nel suo primo mese di vita, il sito ha già venduto libri nei 50 Stati americani e in 45 Paesi del mondo. Le catene di librerie hanno sottovalutato il nuovo arrivato. Nel 1996, durante una cena, i capi di Barnes&Noble, la più grande catena americana, dicono che sì – Amazon è apprezzabile, ma - spiacenti - verrà spazzato via dal nuovo sito della compagnia, che sarebbe stato lanciato a breve. Lo stesso Bezos è convinto che possa duplicare il suo modello. Ma si chiede: "Può Amazon diventare un grande marchio prima che Barnesandnoble.com compri, costruisca, acquisisca e impari le competenze necessarie per diventare un eccellente rivenditore online?". La risposta, oggi, la conosciamo. Il 15 maggio 1997, a meno di tre anni dalla fondazione e a due dal lancio del sito, Amazon si quota. Vale 300 milioni di dollari e si definisce già "il più grande negozio di libri al mondo". Ai dirigenti di Barnes&Noble (sempre loro) non va giù e portano Amazon in tribunale: la definizione sarebbe falsa perché il sito non è un negozio ma un intermediario. La questione si chiude pochi mesi dopo con un accordo. Niente soldi in ballo: semplicemente entrambi consentono all'altro di definirsi la più grande libreria del pianeta.

Bezos ha altro a cui badare: l'espansione della società. Amazon inizia a piantare la sua bandiera in giro per gli Stati Uniti, moltiplicando i centri di distribuzione. Nel 1998 smette di essere solo libri e vende cd. Nel 1999 arriva il primo bozzolo di quel che avrebbe fatto grande la compagnia: Amazon fa da piazza digitale per altri rivenditori. All'inizio è un modo per trovare e comprare libri rari. Poi per acquistare il merchandising collegato ad alcuni titoli. Diventa, ben presto, il più grande mercato d’occidente. Bezos, a 35 anni, è l'uomo dell'anno secondo il Time, che lo definisce "il re del cybercommerce". Tra papi, attivisti e presidenti, mai un ceo si era conquistato la copertina. Ma proprio mentre il suo faccione va in stampa, la sua società è sotto pressione. Scoppia la bolla dot com e le azioni precipitano in pochi mesi da oltre 100 a meno di 10 dollari. Per rivedere i livelli del '99 passeranno dieci anni. Da allora, però, la scalata è stata continua, fatta eccezione per il tonfo di fine 2018 che ha accomunato il settore tecnologico. Mentre le azioni si riprendono e l'e-commerce si espande, Bezos fa la mossa che più di ogni altra rende – oggi – brillanti le prospettive del gruppo: lancia Amazon Web Services, l'infrastruttura su cui si poggiano i servizi, dall'hosting al cloud. Oggi la società è leader in questo settore, pronta a intercettare un flusso crescente di fatturato. Nell'ultima trimestrale, Amazon ha incassato 59,7 miliardi di dollari.

La maggior parte arriva ancora dall'e-commerce, ma più del 12% è frutto di Aws, che ha tassi di crescita e margini superiori (arriva da lì la metà dei profitti operativi). Alterne fortune ha invece avuto il comparto hardware. Promosso il Kindle, l'e-reader lanciato nel 2007. Bocciato il Fire Phone. Neppure Bezos ha resistito al fascino degli smartphone, senza però sfondare. Un insuccesso, pieno. Uno dei pochi. Di tutt'altra segno è l'esordio di Echo, la linea di maggiordomi digitali animati dall'assistente digitale Alexa. Bezos arriva prima degli altri e impone la sua primazia in un mercato che non può essere considerato solo hardware. Dagli smart speaker passano le ricerche, gli acquisti e i dati del futuro. Entrare nelle case vuol dire aprire una porta che collega il salotto degli utenti con i servizi e il mercato di Amazon. Quando Amazon ha imposto il proprio dominio, in molti hanno pensato che i punti vendita fisici sarebbero morti. Molti ma non Bezos. Dal 2015, il ceo affianca al digitale il mattone, partendo (anche stavolta) da pagine e carta: apre a Seattle la prima libreria. L'importanza che Bezos dedica ai negozi è confermata dal fatto che la più grande acquisizione della società è fatta di scaffali e non di bit: nel 2017 Amazon sborsa 13,7 miliardi per la catena di supermercati WholeFoods. Sono arrivati anche gli Amazon 4-star (che vendono articoli con giudizi online positivi) e gli Amazon Go (i supermercati senza casse). Una rete fisica che, assieme ai centri di distribuzione sempre più capillari, ha un doppio scopo: da una parte apre nuovi canali di guadagno; dall'altro crea un sistema di "sentinelle" che in futuro potrebbero essere utilizzati come avamposti dell'e-commerce, per consegne super-veloci o per ordinare online e ritirare alla cassa. Nonostante l'attività avvolga sempre più settori (e chissà quanti ancora, a partire da food delivery), Bezos non perde di vista l'e-commerce. Il cuore della società ha bisogno di continui stimoli: nell'ultima trimestrale, le vendite sono cresciute "solo" del 14% anno su anno. Ecco perché da Seattle si stanno già muovendo, testando le consegne con i droni e con i robot, riducendo a un giorno i tempi di spedizione per gli abbonati di Prime e iniziando la costruzione di un aeroporto che permetterà di gestire l'intera filiera logistica.

Come dei successi, fanno parte della storia di Amazon le discusse condizioni di lavoro. Si è parlato di bracciali che sorvegliano i lavoratori e impongono loro ritmi insostenibili. Di un ambiente poco sicuro, nel quale l'intervento delle ambulanze non è certo raro. Negli Stati Uniti (ma non in Italia) c'è anche un algoritmo sulla base del quale gli addetti ai magazzini vengono valutati, ed eventualmente licenziati. La compagnia si è sempre difesa, negando le accuse ma soprattutto evidenziando le ricadute economiche che ha un centro Amazon su occupati e indotto. Lo scorso novembre ha risposto alle pressioni del parlamento americano elevando la paga minima oraria a 15 dollari. Le casse non hanno certo il problema di dover contare gli spiccioli. Il gruppo ha chiuso il 2018 con un fatturato di 233 miliardi di dollari. Nel 2005 era ancora sotto i 10. Quota 100 miliardi è stata superata nel 2015. Negli ultimi esercizi, sono lievitati anche gli utili, storicamente tenuti bassi pur di avere prezzi aggressivi. Fino a tre anni fa, avevano superato il miliardo solo una volta (nel 2010). Nel 2016 hanno toccato i 2,3 miliardi e nel 2017 i 3 miliardi. Lo scorso anno sono esplosi: 10 miliardi.

Bezos ha preferito (e in parte ancora preferisce) espandersi che guadagnare nell'immediato. Ed è proprio questo ad aver prodotto un effetto, solo in apparenza, paradossale: Bezos è diventato l'uomo più ricco del pianeta. Merito delle azioni Amazon che hanno spinto – per un breve periodo - la capitalizzazione oltre i mille miliardi di dollari. È tutto coerente con la filosofia di Bezos, spiegata in una lettera agli azionisti del 1997: "Sperimenta pazientemente, accetta i fallimenti, pianta semi, proteggi gli alberelli e alza la posta quando si vede il piacere del cliente". È il credo del "giorno uno": guida la tua compagnia come se fosse appena nata. Come se fossi in quell'ufficio deprimente diventato un meme. Ma con un fisico più tonico e 150 miliardi di dollari in tasca.