È un pugile suonato dall’ultimo gancio inaspettato che gli è stato sferrato dai cinque stelle. C’aveva sperato in un cambio di rotta, nella riedizione di un contratto-bis per scongiurare ""il governo arlecchino e dei perdenti".

Chiaro riferimento al gotha renziano, che Matteo Salvini, se può, condanna a ogni piè sospinto. Ecco, il leader del Carroccio non si aspettava quella nota vergata nella casa di Beppe Grillo a Marina di Bibbona, che a metà pomeriggio gli spezza la corsa e lo definisce "inaffidabile e non credibile". "Io – si sfoga con chi lo ha sentito - ho dato l’anima per questo esecutivo, e loro cosa fanno? Mi accusano di essere inaffidabile. Chi è inaffidabile io, o loro che si spartiscono le poltrone con Renzi e la Boschi?".

La nota di fatto cala il sipario all’esperienza di governo gialloverde. E spiana, forse, la strada alla nascita di un esecutivo che ricalcherà la maggioranza "Ursula" - benedetta dal professore Romano Prodi - la stessa che ha eletto la presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen. Fatto sta che quando nel tardo pomeriggio si presenta a Marina di Pietrasanta, dove viene intervistato dal direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, Salvini appare confuso, a tratti rassegnato dall’impossibilità di non potere cambiare il corso degli eventi. E allora davanti alla platea della Versiliana fa un’operazione verità. "Se fanno un accordo sulla spartizione del potere, io i numeri in Parlamento per fermarli non li ho. Questo va detto".

Ecco perché studia già da leader dell’opposizione, "la cosa che sappiamo fare meglio", era stato il consiglio di Giancarlo Giorgetti. E dall’opposizione appunto si prepara a bombardare "il governo dei perdenti di Boschi, Prodi, Renzi e Boldrini", minacciando di portare il suo popolo in piazza "in maniera democratica". Invertendo, di fatto, le posizioni e prendendo le piazza che i grillini hanno lasciato a favore del palazzo. Ad accentuare la sua sofferenza c’è anche la sindrome dell’accerchiato. Dell’essere ormai solo contro tutti. Lui contro il sistema che, ironizza, "mentre noi stiamo qui, si domanda: chi farà il presidente dell’Eni? Chi farà il ministro dell’Interno?".

È questa sindrome dell’uomo solo contro tutti la mette nero su bianco quando parla di un possibile avviso di garanzia che "non mi stupirei arrivasse nei prossimi giorni". Si riferisce alla vicenda Open Arms che lo vede duellare con il ministro Trenta e con il premier Conte con il quale "c’è ormai solo un rapporto epistolare". Già, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Lo stesso che si presenterà fra 48 ore a palazzo Madama per comunicazioni che anche il Capitano della Lega attende con attenzione, tanto da dire: "Lo ascolterò senza assolvere e senza condannare". In questo contesto a via Bellerio regna il caos. Non è dato sapere quale sia la soluzione migliore sulla mozione di sfiducia nei confronti del premier Conte. Se sia più utile ritirarla o meno. Qualcuno gli starebbe consigliando di farlo, qualcun altro tentenna, altri gli consigliano di non farlo. Si tratta di una indecisione figlia di un malessere diffuso.

L’accusa che in tanti rivolgono a Salvini suona più o meno così: "Non ascolta nessuno". Ed è un accusa che è oggetto di discussione tra i parlamentari leghisti, spaesati e sbalorditi dalle continue capriole di Salvini che anche all’interno del Carroccio qualcuno definisce "non più lucido, non più quello che non sbagliava una mossa". Ne è passata di acqua sotto i ponti dai toni dittatoriali del Papeete Beach quando il Capitano, in tenuta da deejay, invocava "pieni poteri" e sembrava essere il padrone d’Italia. Ma oggi ad avere il boccino è il Movimento 5 stelle.

Adesso però per Salvini sembra aprirsi un’altra partita e ben altro processo. E non si parla né di migranti, né di rubli. È un processo politico che inevitabilmente si aprirà a via Bellerio un minuto dopo la nascita di un esecutivo istituzionale senza la Lega. Da qualche giorno Giancarlo Giorgetti preferisce tacere e neppure lui riesce a mettersi in contatto con il vicepremier. C’è poi il silenzio di Luca Zaia, i cui fedelissimi descrivono "infuriato" per aver dimenticato che in tutto questo pantano sta definitivamente per saltare una delle battaglie leghiste, l’autonomia differenziata. Ecco, in questo processo Salvini non potrà chiedere l’immunità.

GIUSEPPE ALBERTO FALCI