Tutto passa e passerà anche questa. Il coronavirus sarà sconfitto e la pandemia scomparirà. Nessuno sa come e quando, ma passerà senz’altro, perché così è sempre accaduto nella storia dell’umanità e nel ciclo vitale delle malattie virali. Usciremo cambiati da questa avventura? Usciremo migliorati, con nuovi schemi valoriali in grado di riempire e sostituire la "liquidità" dei nostri tempi? Sapremo ritrovare la "solidità" nei rapporti interpersonali, nell’economia, nella politica? Sapremo frenare l’invadenza della globalizzazione e tornare ad economie domestiche?

Alcuni commentatori ritengono che questo accadrà, che andremo verso un mondo migliore. Personalmente sono convinto che la storia non avrà questo esito. Anch’io credo, come Thomas Merton, che "nessun uomo è un’isola". E anch’io, per questo motivo, vorrei credere che, alla fine di questa brutta vicenda, globalizzazione, individualismo e utilitarismo estremi, senza freni, che della "liquidità" sono l’essenza malata, saranno messi nell’angolo e sostituiti con nuovi modelli economici, modelli a misura d’uomo, e rinnovati valori.

In fondo, lo stampo della "solidità" al quale questi cambiamenti potrebbero ricondurre la società ripete un archetipo della storia dell’umanità, ripete la società di Giosuè, raccontata nell’Antico testamento, le "colonne d’alabastro poggiate su basi d’oro […] su gambe solide e vigorose", ricordate nel Cantico dei cantici. Sarebbe bello che questi modelli, proprio perché archetipi universali, ritrovassero velocemente la strada per "riveder le stelle". Sarebbe, in fondo, come se il malefico di queste settimane lasciasse anche qualcosa di buono dopo avere seminato dolore e morte. Seguendo Sant’Agostino, sarebbe come se il male concorresse al bene: davvero bello potesse essere così.

Temo, invece, che tutto questo non accadrà e che ci ritroveremo in una società ancora più incattivita, addirittura inferocita e con economie nazionali a gambe all’aria. La spietatezza dell’economia globalizzata si sta già affacciando su tutte le borse e in particolare sulla nostra, sta iniziando a piegare il nostro sistema di finanza pubblica, con una crescita inusitata dello spread, e a breve inizierà a fiaccare l’economia reale, quella della produzione, dei servizi e del commercio internazionale, peraltro già in difficoltà da tempo. L’occupazione ne risentirà pesantemente, così come il portafoglio delle famiglie e le speranze dei giovani saranno ulteriormente deluse.

È impossibile conoscere esattamente come andrà a finire, ma è da credere che la vicenda del coronavirus non sarà sufficientemente traumatica per costringerci a cambiare i modelli di governo sociali ed economici che fin qui ci hanno accompagnato. "Liquidità" e globalizzazione non si sganceranno. Questa coppia può anche non piacere, ma è saldissima: è la geopolitica economica e finanziaria, l’integrazione culturale e informatica che guidano il processo globale. La globalizzazione è la benzina, anzi il fuoco che ha contribuito a sciogliere il blocco di ghiaccio della "solidità", trasformandolo in acqua, dando vita alla "liquidità" nella quale ora, se non governata adeguatamente, rischiamo di affogare.

Domani non sarà una società migliore, non torneremo alla tranquillità della società "solida". Sarà, casomai fosse possibile, una società peggiore perché ulteriormente stremata da una crisi economica a tal punto feroce da far tremare vene e polsi. Fare scelte politiche di lungo periodo, che sappiano "guardare oltre", è allora indispensabile se non si vuole precipitare nel baratro. Non basta la certezza che domattina il sole sorgerà ancora. Passata la fase acuta dell’emergenza sanitaria, occorre un governo nuovo, radicalmente nuovo, guidato e formato dalle migliori menti che il Paese possa mettere in campo. Possibilmente passando dal voto elettorale.

Alessandro Giovannini