La storia dell’umanitá ha seguito una linea progressiva a velocitá diverse. Sono passati secoli dai dipinti dei nostri piú antichi antenati sulle pareti delle caverne alle lettere incise sul marmo da Greci e Romani. Poi ancora altri secoli da quelle iscrizioni su pietra alla stampa a caratteri mobili di Gutenberg. Poi piú di quattro secoli e mezzo perché io potessi scrivere sui banchi di scuola con la penna a biro, inventata da Laszló Biró, l’ungherese che scappó in Argentina nel 1940 perseguito dai nazisti. Dicevo che il progresso é avanzato a velocitá diverse, passando da una lenta evoluzione fino al secolo XX, alle vertiginose trasformazioni imposte dalle tecnologíe informatiche. I cambi sono stati cosí intensi, che alcune straordinarie invenzioni (per esempio, le videocassette) hanno avuto brevissima vita, superate da nuove tecnologie, mentre la penna a biro continua ad essere una mia fedele compagna di vita.

Ormai, quasi a culminazione della mia carriera universitaria, quando credevo di aver visto quasi tutto e poter cosí ritirarmi in santa pace, mi piomba il coronavirus, che mi obbliga a reinventarmi como docente. Non prevedevo infatti che la pandemia ci sorprendesse, costringendo a tanti di noi a ricostruire in poche settimane le nostre capacitá, a rischio di essere esclusi dal mondo del lavoro. Quando il 13 marzo scorso mi sono posto la questione se continuare a insegnare o ritirarmi in buon ordine, i corsi erano giá iniziati. Gia conoscevo da una settimana i miei alunni, li avevo entusiasmati nel loro percorso in aula e quindi mi sembrava quasi un tradimento ritirarmi.

Ma allora che fare? Sospendere le lezioni? Riempire gli studenti con materiale didattico attraverso emails e una parete virtuale su cui attaccare articoli? Nel fine settimana una giovane assistente mi dice di provare con "zoom", una applicazione che consente di parlare gratuitamente fino a 100 persone durante 40 minuti. Zoom? Un nome nuovo per me. Penso che non ne saró capace, eppure ci provo e stampo tutta l’informazione - i cosiddetti tutorial - per capire come funziona. Oggi, due settimane dopo, mi chiedo come sia possibile che abbia vissuto tutta la mia vita senza "zoom". Ci voleva proprio il coronavirus a farmelo conoscere. Di mattina discuto con i miei colleghi, di pomeriggio faccio un corso per impararne di piú, alle 19 sullo schermo, divisi in piccoli quadratini, ma totalmente visibili, vedo i miei alunni.

Ci guardiamo negli occhi, ci parliamo e sappiamo che siamo accomunati da un nuovo obbiettivo: costruire la nostra comunitá attraverso uno strumento insolito, dalle possibilitá straordinarie. Scopro al tempo stesso che anche mia moglie é collegata a "zoom" per seguire le sue lezioni di mindfulness, mentre le ,mie figlie fanno ginnastica interattivamente davanti al computer con i professori della loro palestra. Imparo dalla revista Forbes, che "Zoom nasce diversi anni fa, ma le sua fama planetaria è esplosa adesso. Secondo la società di "mobile intelligence" Apptomia, la settimana scorsa in un solo giorno 343.000 persone hanno scaricato l’app in tutto il mondo, 60.000 solo negli Stati Uniti.

Un enorme balzo in avanti rispetto alle 90.000 persone in tutto il mondo e 27.000 negli Stati Uniti di soli due mesi fa". Ci chiediamo quale sará il futuro prossimo del mondo e delle nostre vite? Nessuno puó ragionevolmente pronosticarlo, ma é evidente che molte cose cambieranno. E se vorremo continuare ad essere in campo, dovremo inesorabilmente imparare a cambiare noi stessi nei tempi piú brevi possibili. Una volta chiacchieravamo in piazza e ragionavamo in molti. Poi sono apparsi i cellulari, che ci hanno rinchiusi in vincoli individuali. Oggi é tempo di "zoom" per ritornare in piazza e parlare tra tanti, anche se questa volta la piazza... é solo virtuale.

JUAN RASO