Cosí diceva la buonanima di mia suocera, che sempre aveva un proverbio o un detto per sottolineare ogni evento. Quando qualcosa non funzionava a casa o nei dintorni, ripeteva la nota frase: "Siamo ridotti proprio male". Ieri vedevo un film a lieto fine: in un aereo, zeppo di passeggeri, una coppia di spie (che era sopravvissuta a mille persecuzioni), si abbracciava e baciava lungamente, mentre l’apparecchio decollava. Guardavo attonito e incredulo, proprio come si guarda un film di fantascienza: una aereo pieno, la gente che spinge, due persone sedute una a fianco all’altra e strette in un abbraccio, mentre si incontrano in un bacio di quelli veri. Ma non è fantascienza; è stata la realtá vissuta da quando mi conosco.

Fino a gennaio scorso ci abbracciavamo, ci baciavamo, ci coccolavamo. Oggi una scena come quella dell’aereo potrebbe pure essere bloccata dalla censura, perché proclive a spingere noi - esseri umani - a quelle azioni quasi animalesche del passato: abbracci, scambio di fluidi vari, vicinanza a tutto spiano. Il dilemma del futuro (ma non del futuro tra 10 anni, sto parlando del futuro tra pochi mesi) è come poter ricostruire una societá senza l’idea della "vicinanza". Perché da sempre la storia dell’umanitá mostra la vicinanza come fatto essenziale della nostra esistenza: vicinanza che è espressione di solidarietá, vicinanza dei corpi che significa la nascita di una vita, vicinanza negli operai che scioperano, vicinanza dei tifosi che gridano, e anche vicinanza dei corpi durante una battaglia.

Abbiamo definito le persone che ci circonda come il "prossimo", cioè quello che è vicino a noi. Il Vangelo lo dice: "Ama il prossimo tuo, come a te stesso". Oggi però devo abituarmi a vivere con una "quasi-prossimo", un prossimo a distanza minima di un metro e mezzo, un prossimo che non posso piú toccare. Magari posso accarezzare il gatto o il cane, ma non mia moglie, le mie figlie, i miei nipotini. Aveva ragione mia suocera: "Siamo proprio ridotti male!". Ascoltavo una intervista fatta a un esperto in viaggi, che onestamente segnalava tutte le difficoltá che la ripresa del turismo presenta: i protocolli sanitari, le distanze, le possibili quarentene, i costosi biglietti aerei perché bisognerá ridurre il numero dei passeggeri, la sfiducia delle persone a cui non é stato restituito il pagamento di un viaggio annullato, etc.

A mio modo di vedere non ci sará piú turismo vero per almeno vari anni. Come immaginarsi lo stare in spiaggia, a metri di distanza dall’altro ombrellone, facendo la fila per entrare in acqua in attesa che quelli giá in mare, escano presto; il bagnino, senza il coraggio di soccorrere - e quindi toccare - il nuotatore imprudente; noi, che per andare a comprare una bibita al bancone, dovremmo metterci la solita mascherina che non ci fa respirare e fa sudare tanto la faccia in estate...

Preferiró starmene a casa; magari collocheró nella stanza da bagno un bel plasma TV per vedermi documentari sulla natura e sulle spiagge piú esotiche del mondo, immerso nella mia vasca, con l’acqua tiepida e un ventilatore acceso che mi fará da brezza marina. L’altro giorno qualcuno mi disse che sono pessimista. Non credo. Mi piace ricordare il filosofo Castoriadis, che trovai a Buenos Aires, prima che lui morisse, a fine degli anni ’90. Dopo la sua conferenza uno studente gli disse con certo tono aggressivo: "Lei é troppo pessimista!". Cornelius (perché Castoriadis si chiamava proprio cosí: Cornelius) lo guardó in faccia e rispose sereno col suo francese dalla forte intonazione greca: "Je ne suis pas optimiste, ni pessimiste; je suis réaliste!" .

JUAN RASO