"Ci vuole sempre una cazzo di storia! Una spiegazione, ci vuole" ripete Antonio Morabito, fratello del più famoso Rocco detto "U Tamunga" detenuto in Uruguay in attesa dell’estradizione per l’Italia. "Sempre, perché se ti fermano almeno sai cosa dire" gli fa eco Carmelo Aglioti, un imprenditore esperto di import-export legato alla cosca Bellocco di Rosarno e che da quarant'anni viaggia periodicamente in Argentina. Lui è l'uomo scelto dalla 'ndrangheta con un compito preciso: muovere i contatti in Sud America per far liberare Rocco Morabito dalla Carcel Central di Montevideo o almeno evitargli la temuta estradizione mettendo sul piatto la somma di 50mila euro.
Siamo nell’ottobre del 2017, un mese e mezzo dopo l'arresto del narcotrafficante calabrese in Uruguay, e questo dialogo viene registrato dalla Guardia di finanza di Reggio Calabria nell'ambito dell'inchiesta "Magma" che nel novembre dello scorso anno ha portato all'arresto di 45 persone in tutta Italia. L’ultimo tassello di questa operazione antimafia è andato in scena il 21 luglio a Buenos Aires con la cattura di tre argentini legati al narcotraffico internazionale e che continuavano a vivere come se nulla fosse nonostante la richiesta di arresto da parte della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Si tratta di Fabio Pompetti, avvocato di origini italiane, e i due italiani Ferdinando Saragò e Giovanni Di Pietro, noto in Argentina come Massimo Pertini. Quest’ultimo è arrivato in Argentina trent’anni fa da latitante dopo aver partecipato a un sequestro di persona in Sicilia, e viveva con un’altra identità.
Oltre a dimostrare ancora una volta la presenza della 'ndrangheta tra i colletti bianchi in Sud America, questa inchiesta offre una nuova testimonianza sul caso Morabito e il piano per favorire la scarcerazione del boss come poi è effettivamente successo poco dopo.
La cosca di Africo era molto preoccupata per l’arresto di Rocco Morabito avvenuto nel settembre del 2017 a Montevideo dopo 23 anni di latitanza e per questo decide di contattare Carmelo Aglioti come evince dai dialoghi intercettati dalle forze dell’ordine citati in un'inchiesta di IrpiMedia e La Nación. L'obiettivo è evitare a tutti i costi l’estradizione in Italia dove Morabito era stato condannato in contumacia a trent’anni di carcere per diversi reati nell'ambito dell’operazione "Fortaleza". La famiglia ha già pronti 50mila euro per far partire questo piano.
"Ora, il cugino vostro (modo per chiamare U Tamunga, ndr), per riciclaggio è?" chiede Aglioti per capire di che reati è accusato il boss calabrese che negli anni ottanta era stato ribattezzato "il re della cocaina di Milano". "Quindi, il motivo per cui bisogna fare tutte questa operazione… pi mi staci docu (per stare in quel luogo, ovvero in Uruguay, ndr)… quindi non estradato qui in Italia, giusto? Di farlo rimanere là! Perché i reati contestati là (Uruguay, ndr) non sono gli stessi di qua, giusto?".
Antonio Morabito, fratello di U Tamunga, asserisce e spiega che sì, questo è ciò che vorrebbero fare perché in Uruguay Rocco è imputato solo per il possesso di documenti falsi, una sciocchezza rispetto ai reati italiani. E che bisognerebbe riuscire a farlo scarcerare prima dell’estradizione che ha comunque un inter burocratico lunghissimo e che richiederà anche la firma di un nuovo trattato tra i due governi.
Antonio spiega che l’idea è quella di aprire un’azienda affinché il fratello Rocco possa dimostrare di avere una vera attività commerciale in Uruguay. Una strategia, questa, che serve ovviamente per evitare l’estradizione: "Con una documentazione che dice che questo qua, in Italia non vuole venire perché si vuole stabilire in Sud America e crearsi un’attività commerciale […] questa è già una scappatoia!".
Il compito affidato a Carmelo Aglioti è abbastanza delicato: sfruttando le conoscenze in Argentina deve trovare i contatti giusti in grado di portare avanti la missione della ‘ndrina di Africo. Sui 50mila euro messi dalla famiglia c’è però un problema di carattere legale: come faranno questi soldi ad entrare in Uruguay senza destare sospetti? Ecco perché Aglioti cerca di trovare qualcuno in Argentina disposto ad anticipare in loco la somma di denaro così da eludere i controlli sul trasferimento internazionale di valuta e per questo tira in ballo l’italo-argentino Ferdinando Saragò che commercia piastrelle e alcune volte all’anno va in Calabria, nel vibonese, ad acquistarne e potrebbe essere la scusa perfetta.
Saragò, assieme agli altri due arrestati del 21 luglio Fabio Pompetti e Giovanni Di Pietro, sono per i magistrati "il gruppo di referenti in Argentina per Aglioti e gli interessi della ‘ndrangheta da lui rappresentati".
Infatti, Aglioti ai Morabito parla dei due come di "avvocati in grado di occuparsi della liberazione di Rocco Morabito poiché avrebbero già curato casi simili in passato per la cosca Mancuso di Limbadi". I Morabito danno l’ok, basta che si faccia in fretta. Così, Aglioti scrive subito a Pompetti in un messaggio intercettato: "Tutto ok per le tue persone in Uruguay. Mi devo muovere con molta cautela. Ti prometto buona riuscita su tutto" risponde il legale.
Le indagini non hanno chiarito se il piano per favorire la scarcerazione di Rocco Morabito abbia avuto successo ma ciò che è certo che Morabito nella notte del 24 giugno del 2019 è evaso dal carcere "Central" grazie a una fuga rocambolesca e da allora è tornato ad essere latitante.
Altra certezza, come ribadito dal procuratore Giovanni Bombardieri artefice dell’inchiesta "Magma", è che i Bellocco "avevano ormai internazionalizzato le loro attività criminali grazie ad una forte capacità di relazione con altre cosche di ‘ndrangheta, come i Morabito e i Mollica di Africo, con cui avevano posto solide basi nell’area platense, tra Buenos Aires e Montevideo, da dove coordinavano l’acquisto e la spedizione di quintali di cocaina verso l'Italia e l’Europa".

Matteo Forciniti