In poco meno di 50 anni, il mondo ha perso i due terzi della sua popolazione di animali selvatici, conseguenza diretta dello sfruttamento eccessivo delle risorse naturali da parte dell’uomo che così facendo mette a rischio anche la propria salute. Ad accendere i riflettori sul declino catastrofico della biodiversità è il Fondo mondiale per la natura (Wwf) nel suo rapporto biennale intitolato Indice del Pianeta Vivente 2020 (‘Living Planet Index’). Compilato in collaborazione con la Zoological Society of London, il rapporto prende in considerazione circa 4 mila specie di vertebrati suddivise in circa 21 mila popolazioni animali in tutto il mondo. Ha registrato una nuova accelerazione nella caduta della biodiversità, che si era attestata al 60% durante l’ultimo rapporto del 2018 ed è ora pari al 68% se si considera il periodo fra il 1970 e il 2016, periodo coperto dal rapporto, ma non mostra segni di rallentamento, anzi. Sotto accusa per la drammatica scomparsa di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci, è la distruzione degli habitat naturali attraverso la deforestazione, l’espansione delle aree coltivate, l’agricoltura e la pesca intensive, l’urbanizzazione. Inoltre, evidenzia il Wwf, le attività praticate dagli uomini li mettono in contatto sempre più stretto con gli animali, creando le condizioni propizie alla trasmissione di virus da specie a specie che, in prospettiva, rischiano di favorire nuove pandemie dopo quella del Covid-19. "Il Living Planet Report 2020 sottolinea come la crescente distruzione della natura da parte dell’umanità stia avendo impatti catastrofici, non solo sulle popolazioni di fauna selvatica, ma anche sulla salute umana e su tutti gli aspetti della nostra vita", secondo Marco Lambertini, direttore generale Wwf International. "E’ l’ennesimo Sos lanciato dalla natura. Nel mezzo di una pandemia, è più che mai importante intraprendere in tempi brevissimi un’azione globale coordinata per arrestare e invertire entro la fine del decennio la perdita di biodiversità" sottolinea la presidente di Wwf Italia, Donatella Bianchi. Tra le specie in via di estinzione c’è il gorilla di pianura orientale, in Repubblica Democratica del Congo, principalmente a causa della caccia illegale. Della ‘lista rossa’ fa parte anche il pappagallo cenerino in Ghana sud-occidentale, vittima del commercio di uccelli selvatici e della perdita di habitat. A rischio anche lo storione cinese nel fiume Yangtze in Cina, come conseguenza dello sbarramento del corso d’acqua. La continua perdita di biodiversità sta anche ipotecando il raggiungimento della maggior parte degli Obiettivi di sviluppo sostenibile Onu, compresa la riduzione della povertà e la sicurezza alimentare, idrica ed energetica. Ancora, la biodiversità ha un valore economico che dovrebbe essere riconosciuto nei sistemi contabili nazionali. Il costo mondiale, è la stima contenuta nel rapporto, sarà di almeno 479 miliardi di dollari all’anno, aumentando fino a circa 10 mila miliardi di dollari entro il 2050. Fra un continente e l'altro, il rapporto Wwf fa emergere scenari e sfide molto diversi, anche se il trend della diminuzione accomuna tutti, con numeri variabili e conseguenze più o meno gravi sulle popolazioni. La regione Europa-Asia centrale ha una delle più alte impronte di consumo rispetto a qualsiasi regione e supera anche la sua biocapacità - l'approvvigionamento naturale di risorse e servizi della natura - per la massima quantità. Tuttavia, il calo medio del 24% della popolazione in questo continente tra il 1970 e il 2016 è inferiore a qualsiasi altra regione del mondo, in parte grazie al successo della conservazione. In Nord America la perdita media è stata del 33% mentre il calo di biodiversità in America Latina e Caraibi è di gran lunga maggiore di quello di qualsiasi altra regione osservata. Ciò è dovuto a una serie di fattori, tra cui la conversione di praterie, savane, foreste e zone umide, l'eccessivo sfruttamento delle specie, il cambiamento climatico e l'introduzione di specie aliene. I cali maggiori sono tra le popolazioni di pesci, rettili, anfibi. Per i pesci d'acqua dolce ciò è dovuto al sovrasfruttamento, per i rettili anche alla perdita di habitat. A Panama, il fungo chitride ha causato l'estinzione di 30 specie di anfibi. La regione Asia-Pacifico è estremamente diversificata e ha molti ecosistemi unici. Le popolazioni di specie monitorate sono costantemente diminuite in media dal 1970, anche se dal 2010 ci sono stati alcuni segnali positivi, tra cui un aumento di alcune specie di rettili e anfibi. Altre hanno invece registrato un calo medio del 45%. L'inquinamento è una delle principali cause di questo declino. L'Africa è molto ricca di biodiversità ed è l'unica regione rimasta sulla Terra ad avere un numero significativo di grandi mammiferi. I beni e i servizi forniti dalla biodiversità africana sono importanti, non solo per il 62% delle popolazioni rurali, ma anche per il resto dell'Africa e del mondo. Tuttavia, i dati mostrano che l'abbondanza nella regione è diminuita in media del 65% tra il 1970 e il 2016. Specie e malattie invasive rappresentano una grande minaccia, insieme allo sfruttamento eccessivo, in particolare di pesci e mammiferi.