Dopo la pausa estiva, la stagione politica ricomincia oggi con 2 appuntamenti elettorali: le elezioni regionali, in 7 regioni, e il referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari. La riforma, approvata in ultima lettura l’8 ottobre dell’anno scorso, e su cui gli elettori saranno chiamati a esprimersi oggi e domani prevede che i membri della camera passino da 630 a 400 e quelli del senato da 315 a 200. Un taglio motivato con una maggiore efficienza (assunzione mai veramente argomentata nello specifico) e con risparmi che – come analizzato in precedenza – potrebbero essere conseguiti anche senza ridurre la rappresentanza. Al di là dell’esito del voto, è soprattutto il clima in cui questa scelta sarà fatta a preoccupare.

Rispetto all’attenzione concentrata sulle regionali, l’interesse verso questa consultazione sembra molto inferiore nel dibattito pubblico, a dispetto di quanto giustamente auspicato dai presidenti delle 2 camere, Casellati e Fico. È importante che nel Paese ci sia un ampio dibattito pubblico in merito al referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari che si svolgerà il 20 e 21 settembre. (…) È grazie a una corretta informazione, a un confronto esteso e all’approfondimento delle ragioni delle parti che è possibile fornire ai cittadini gli strumenti necessari a esprimere il proprio voto in modo consapevole. Il rischio concreto è che il paese vada al voto su una modifica della costituzione senza una vera riflessione sullo stato del nostro sistema istituzionale.

Questo referendum, come le riforme degli ultimi anni, si inserisce in un contesto di complessiva delegittimazione delle istituzioni. La classe politica – paradossalmente – sembra voler cavalcare questo clima, anziché porre le basi per invertire la tendenza. Ad esempio aumentando la possibilità di scelta degli eletti, o imponendo a partiti e liste procedure di selezione trasparenti delle candidature. Oppure limitando il ricorso all’eccesso di voti di fiducia e decretazione da parte del governo. Come con la previsione percorsi separati per i disegni di legge del governo, su cui il parlamento possa davvero discutere e intervenire in tempi certi. Il flebile dibattito di queste settimane, anche rispetto ai cosiddetti correttivi, non interviene sul vero punto debole della nostra democrazia.

Un parlamento svuotato scientificamente delle proprie funzioni - Il parlamento, che in un sistema parlamentare dovrebbe essere il cuore della decisione politica, è stato progressivamente svuotato di competenze e autorevolezza. Una tendenza che, come vedremo, è stata funzionale alle esigenze delle forze politiche. In particolare quelle della maggioranza politica del momento, qualunque essa fosse. Questa tendenza, che ha contribuito in modo rilevante alla delegittimazione di Camera e Senato, sembra essersi realizzata in modo quasi scientifico. Con modalità e strumenti che tutti puntualmente contestano quando siedono sui banchi dell’opposizione; salvo poi ricorrervi senza particolari preoccupazioni quando vanno al governo.

L’iniziativa legislativa appare sempre più concentrata nelle mani dell’esecutivo. Il 75% delle leggi approvate dal 2008 ad oggi sono state presentate dal governo. Una quota che negli ultimi mesi, anche in conseguenza dell’emergenza, è ulteriormente aumentata: quasi l’84% delle leggi approvate durante l’esecutivo in carica (Conte II) è di iniziativa governativa.

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