Sono il nostro presidio sanitario mobile, unico vero argine al contagio quando è difficile o impossibile mantenere il distanziamento sociale minimo. I dispositivi di protezione individuale, le ormai indispensabili mascherine, funzionano, servono effettivamente, solo se correttamente utilizzate. Fin troppo familiari, finiscono per essere percepite come uno dei tanti gadget che ci portiamo addosso e appresso.

Così le indossiamo con eccesso di faciloneria, per esempio non facendole aderire perfettamente al volto, dimenticando per esempio che la stanghetta rigida indica la posizione giusta sul naso. Oppure le portiamo con estrema disinvoltura legate al braccio dal gomito in giù, o le estraiamo appallottolate dalla tasca. Infine, al termine di una disperata ricerca, dal caos organizzato di una borsa.

Non va bene. Così, esposte a ogni possibile contaminazione, le mascherine non servono a niente. È utile ricordare come vanno indossate e come vanno conservate. Sul braccio, sotto il mento, sul polso, appese all’orecchio, le mascherine corrono il rischio di contaminarsi o di bagnarsi e l’umidità sudaticcia è un veicolo ideale di trasmissione del contagio. Se cadute in terra, dobbiamo raccoglierle e gettarle nell’immondizia (nell’indifferenziata, è la raccomandazione, così finiranno sicuramente negli inceneritori e non a far concorrenza alla plastica in fiumi e mari).

Le mascherine chirurgiche, è bene ricordarlo, hanno una durata molto limitata. Dopo tre quattro ore esauriscono il loro compito (quelle di stoffa viceversa possono essere lavate, almeno 60° in lavatrice, meglio senza ammorbidenti). Tornando alle mascherine, andrebbero toccate solo sul lacci e sui bordi, con le mani pulite, e se le tocchiamo poi subito a rilavarci le mani.

Riponiamole dentro un sacchettino di plastica, o un contenitore dedicato. È dura, è vero, ma questo non è un gioco, e lo sforzo è alla nostra portata: il premio è riacquistare la piena libertà di movimento e il recupero di una socialità meno asettica. Quando sarà. Non è poco.