Il 24 ottobre di 103 anni fa cominciò la più catastrofica battaglia della Prima Guerra Mondiale italiana, la battaglia di Caporetto, divenuta emblema di sconfitta sanguinosa e disastrosa e anche simbolo di gravissimi errori commessi dai vertici. All’avvicinarsi dell’anniversario, l’Italia sta camminando verso una nuova Caporetto? Sembra proprio di . L’andamento assunto dalle curve di crescita della pandemia e l’assoluta insufficienza delle misure adottate finora dal governo e dalle Regioni stanno disegnando uno scenario da incubo, che potrebbe tradursi tra pochissimi giorni in una situazione non uguale ma addirittura peggiore rispetto a quella vissuta dal nostro Paese a marzo-aprile. Il dibattito pubblico è stato per lo più risucchiato da questioni assolutamente minori, in confronto alla gravità della situazione (si tratti delle palestre o delle piazze la sera), o viceversa importantissime ma, ormai, premature, come il tema cruciale del tracciamento dei contagiati o l’indiscutibile necessità di studiare e prendere esempio dai paesi dell’Estremo Oriente, che potranno servire a evitare la terza ondata, ma non più il disastro in arrivo. L’andamento di tutte le curve è inequivocabile. I tempi di raddoppio strettissimi. Le capacità di assorbimento del nostro sistema sanitario sono cresciute rispetto a marzo, ma il numero totale delle nostre terapie intensive resta sempre molto basso. Non si tratta ora di aprire sguaiate polemiche politiche di parte e di fazione per cercare capri espiatori. Il governo poteva fare di più? L’opposizione poteva fare di meglio? Sono domande che andranno affrontate, perché siamo una democrazia. Ma ora non è il tempo dell’infinita giostra dei guelfi e dei ghibellini. L’esigua linea di resistenza che, nonostante gli sforzi fatti per rinforzarla in questi mesi, ci consegnano decenni di tagli alla sanità pubblica può crollare, in pochissimo tempo, a fronte dei ritmi di crescita della pandemia. Considerando i tempi di incubazione del Covid, potremmo essere già nei pressi del punto di non ritorno. Stiamo rischiando un grande numero di morti, il trauma collettivo di un paese che non riesce a curare i suoi malati, che deve lasciar morire migliaia di persone che potevano vivere. Se a marzo-aprile in molti ospedali italiani si è vissuto un inferno, a novembre potremmo scendere al nono cerchio. Ovviamente tutto ciò sarebbe anche un disastro economico. Non siamo nel 1348, non abbiamo la censura militare del 1918. I livelli di consumo necessari a un’economia capitalistica per funzionare sono incompatibili col dilagare fuori controllo di una pandemia. Non c’è più tempo da perdere. Anche una settimana di ritardo può avere conseguenze gravissime. Il governo, col concorso delle autonomie locali, e, se possibile, di una opposizione responsabile, ha i mezzi, le competenze e le capacità per mettere in campo misure davvero adeguate alla gravità della situazione. Quella in corso è la più grande crisi della nostra epoca. Molte cose, dopo, potranno essere capite e perdonate: nessuno era preparato per quel che sta accadendo. Ma l’inazione, no, non potrà essere compresa. Una classe dirigente non può assistere immobile agli eventi, non può assumere la posizione di Ponzio Pilato. Caporetto forse si può ancora evitare. Ma è necessario che chiunque abbia una responsabilità se la assuma, immediatamente, e fino in fondo.

ALESSIO ARINGOLI