Un docufilm su Renato Carosone. Tra il centenario della nascita (3 gennaio 1920) e il ventennale della morte (20 maggio 2001) arriva un tv-movie già in avanzato stato di lavorazione per conto della Rai dedicato al musicista che seppe rigenerare la canzone napoletana con una robusta iniezione di ritmo e ironia.

Nel ruolo del grande Renato vedremo Eduardo Scarpetta, diretto discendente di quell'Eduardo padre dei tre fratelli De Filippo, mentre Vincenzo Nemolato sarà l'incontenibile Gegè Di Giacomo, papà della rinomata scuola di batteristi napoletani. Grande maestria nel trucco e nelle movenze, come richiesto nei docufilm su personaggi moderni, ben conosciuti da vivi. Toni Servillo docet in "Il divo", o Pierfrancesco Favino in "Hammamet".

Girato prevalentemente tra Roma e Napoli, il film è diretto da Lucio Pellegrini e prodotto da Groenlandia. La trama è tratta dalla ricca biografia carosoniana di Federico Vacalebre, scritta col maestro e con tanti musicisti che lo hanno conosciuto.  A fuoco soprattutto gli anni giovanili dell'americano di Napoli, il musicista che seppe fondere il jazz e la canzone napoletana ridandole un'anima nuova, impregnata di una freschezza che resiste ancora dopo oltre mezzo secolo.

C'è il jazz e c'è il blues nella musica di Carosone, all'anagrafe Carusone. Napoli e New Orleans, due sud del mondo riuniti sullo stesso pentagramma da un apripista per i successivi Peppino di Capri, Edoardo Bennato e quanti emergeranno di lì in poi fino a Pino Daniele che di lui ha scritto: "È il papà e il fondatore della odierna canzone napoletana, contaminata e aperta al mondo ma cosciente della sua tradizione".

Fondamentale nel film il contributo musicale di Stefano Bollani, vincitore due volte del premio Carosone e autore di un libro su di lui. Da piccolo Bollani scrisse una lettera proprio al pianista napoletano per chiedergli consigli su come imparare a suonare il pianoforte. "Impara il blues", fu la risposta.

Carosone, Di Giacomo e il chitarrista olandese Peter Van Wood, avanzatissimo anche lui nel modo di suonare, accattivante nel cantare in italiano con la sua pronuncia straniera. Gegè si presentò alla coppia Carosone-Van Wood per un provino senza la batteria.
Di fronte allo sconcerto dei due musicisti si fece dare dei bicchieri che riempì d'acqua a vari livelli, un vassoio e due forchette, e cominciò a picchiare su quei bicchieri a ritmi scatenati convincendo subito i due colleghi.

Nacque così il trio che col tempo perse Van Wood che scelse una via da solista ma si arricchì fino a diventare un sestetto con Piero Giorgetti, voce e contrabbasso, Raf Montrasio, chitarra, e i fiati Toni Grottola e Gianni Tozzi.

Ritmo e ironia, ma anche ammiccanti doppi sensi, come in "La pansée", ed espedienti musicali inventati, come le vocine, come il "Canta Napoli" di Gegè, ingredienti che diedero una svolta radicale alla canzone napoletana ed italiana. La canzone che diventa anche cabaret, come nel rifacimento della lacrimosa sanremese "E la barca tornò sola", con il coretto che faceva eco al dramma annunciato dal titolo con uno strafottente "E a me che me ne 'mporta", mentre le vocine stridule incalzavano con un ironico "Mare crudele, mare crudele" e i gargarismi a fare da intermezzo vocale.

La svolta determinante la diede Nicola Salerno, in arte Nisa, disegnatore caricaturista su giornali satirici prima che autore dei testi di innumerevoli successi. La storia racconta che fu Giulio Repetti, direttore artistico della Ricordi e padre di Mogol, a far conoscere Nisa e Carosone.

"Tu vuò fa' l'americano" fu il primo prodotto della loro lunga collaborazione. Un "evergreen" (come tanti altri lanciati da Renato) che, uscito nel 1956, divenne presto un successo planetario, anche perché rilanciato nel 2010 da un gruppo australiano col titolo "We No Speak Americano".

Dal pentagramma alla tavolozza il passaggio fu scioccante. Carosone disse "basta" in diretta tv quando ancora cavalcava il pieno successo: era il 7 settembre 1959. Non fu un ritiro definitivo, vi fu qualche occasionale ritorno, compose e registrò ancora, ma la decisione era presa.

Qualcuno azzardò che aveva fatto un voto alla Madonna. E si dedicò alla pittura, la sua seconda passione. Lasciò tutto nelle mani, anzi nelle bacchette di Gegé che però non andò lontano: senza il "maestro" non si sentiva più a suo agio.

L'enfisema lo consumò lentamente, l'americano di Napoli morì nel sonno il pomeriggio del 20 maggio 2001 lasciando un patrimonio artistico che gli sopravviverà ancora a lungo. Pochi mesi dopo Gigi D'Alessio, al quale aveva regalato il suo pianoforte, scrisse la canzone Caro Renato, una lettera in cui si scusava per non essergli stato vicino nei suoi ultimi momenti.

Adriano Cisternino