di Alfonso Celotto

Quando pensiamo allo Stato, pensiamo a una nazione con un suo popolo, un suo territorio e un suo governo. È l’idea di Stato che si è perfezionata negli ultimi 500 anni, partendo da Machiavelli e passando da Bodin e Locke.

Oggi tutti sappiamo che per avere uno Stato serve uno spazio giuridico di sovranità, una comunità di cittadini che vi appartiene e una serie di regole che disciplina la vita dei cittadini su quel territorio.

Sono decine di anni che questa idea di Stato è cristallizzata nel nostro modo di pensare. Eppure ora le nuove tecnologie e la rete stanno mettendo in discussione - se non in crisi - anche l’idea stessa di Stato.

Da due punti di vista. Innanzitutto, gli Stati tradizionali faticano a regolare la rete. Esempio emblematico sono le nuove leggi emanate in Germania e in Francia per combattere il c.d. odio in rete. Le semplici sanzioni statali sono insufficienti e ineffettive, rispetto all’obiettivo primario della persona sistematicamente offesa: che vuole innanzitutto rimuovere al più presto il contenuto ingiurioso.

Ecco allora che gli interventi legislativi degli Stati si rivolgono direttamente ai provider, imponendo di rimuovere tempestivamente i contenuti illeciti, con sanzioni pecuniarie molto significative (da 500.000 a 5.000.000 di euro). In altre parole, lo Stato non è in grado di applicare direttamente le sue sanzioni, ma chiede la necessaria collaborazione dei Giganti della Rete.

Ma la vera novità è un’altra. A ben vedere, i grandi provider hanno fatto un passo avanti: si stanno loro stessi trasformando in Stati!

Sicuramente hanno “cittadini” e “territorio”, nel senso che gli iscritti sono il popolo di un social e il territorio è la piattaforma su cui si opera. Ma ormai i provider pongono anche regole di governo, rispetto a ciò che accade sulla piattaforma.

Prendiamo il caso di Facebook che è il più grande “Stato virtuale” della rete. Con oltre 3,5 miliardi di iscritti, in pratica un terzo della popolazione mondiale e il doppio rispetto agli Stati più popolosi (Cina e India).

Ma ora Facebook sta iniziando a porre regole che lo fanno sempre più somigliare a uno Stato. Tutti sappiamo che da tempo stanno lavorando alla moneta di Facebook, che dovrebbe chiamarsi Libra e dovrebbe diventare lo strumento di scambio in rete. Fuori da ogni controllo e tassazione statale.

E sappiamo anche che ormai opera il Tribunale di Facebook. Si chiama "Oversight Board" ed è una Commissione a cui gli utenti possono fare ricorso contro la censura all’interno del social network. Questo Tribunale è composto da 11 esperti scelti da Facebook con criteri di indipendenza, opera 18 lingue e deve emettere i suoi verdetti entro 90 giorni dalla segnalazione del caso. Del resto se Facebook censura un post sul mio profilo, è piuttosto inutile che io faccia ricorso al Tribunale di Roma, no? Meglio fare ricorso al loro Tribunale interno.

Facebook ha fatto anche un ulteriore passo in avanti. Andando a regolare anche i profili più squisitamente civilistici fra i suoi utenti. È il caso del «Contatto erede»: visto che negli ultimi anni erano sorti molti dubbi di cosa fare di un profilo dopo la morte del titolare, adesso Facebook offre la possibilità di lasciare in eredità il profilo social dopo la morte, in maniera da individuare chi debba continuare a gestirlo “in memoria” oppure modificarlo o chiuderlo. Una vera e propria successione da codice civile.

Credo che nei prossimi anni, dovremo sempre più confrontarci con l’ “affiancamento” dei giganti della rete rispetto agli Stati tradizionali. Nel senso che sulla scena mondiale i veri protagonisti rischieranno di essere Google, Amazon, Apple, Microsoft e Facebook. Non solo perché avranno accesso a una quantità enorme di dati su comportamenti e abitudini di noi umani. Ma anche perché avranno una forza economica paragonabile se non superiore a quella degli Stati.

Oggi Amazon ha un fatturato annuo di 280 miliardi di dollari annui e Apple di 274. In pratica, hanno un fatturato paragonabile con quello di uno Stato come la Finlandia o l’Egitto, collocandosi al 40 posto nella classifica mondiale degli Stati per fatturato.

Ma se prendiamo in considerazione la capitalizzazione, cioè il valore di borsa, Microsoft supera i 1000 miliardi di dollari e Google (anzi Alphabet che è la capogruppo) sfiora i 900 miliardi. Cioè stiamo parlando di valori che collocherebbero queste Società tra i primi 20 Stati del mondo come PIL, al livello dell’Indonesia o del Messico.

Visti i tassi di crescita di queste aziende, nulla esclude che fra pochi anni avranno un valore economico che eguaglierà quello delle grandi potenze economiche del mondo. Ma a quel punto al G-7 non dovranno avere posto soltanto Stati uniti, Giappone, Germania, etc. ma anche i grandi Stati della Rete. Che avranno una potenza economica e giuridica anche superiore agli Stati nazionali. In un futuro da “grande fratello”.

Ovviamente resta aperto il problema della democraticità di questi nuovi Stati. In facebook o in google noi utenti non siamo certo cittadini, cioè non abbiamo diritti garantiti e possibilità di partecipare alla formazione della decisione. Nei grandi social network e nella rete, noi altro non siamo che sudditi, cioè destinatari delle decisioni altrui, con poca possibilità di interloquire, parteciupare e decidere. In una paradossale retrocessione: da cittadini statali a sudditi digitali.