Per commemorare le vittime dell’Olocausto, in occasione della Giornata della Memoria, l’Istituto Italiano di Cultura di Rio de Janeiro presenta, sul suo canale YouTube dal 27 gennaio all’1 febbraio il docufilm 70072: La Bambina che non Sapeva Odiare. La Vera Storia di Lidia Maksymowicz, regia di Elso Merlo e produzione dell’Associazione La Memoria Viva - Umanità Senza Confine.

Il film racconta la storia della piccola Lidia Maksymowicz che nel 1942, a soli due anni, fu rinchiusa nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, dove il dottor Mengele effettuava i suoi folli esperimenti sui bambini ebrei. La madre, costretta a partecipare ad una marcia della morte, promise e giurò alla bambina che un giorno sarebbe tornata a prenderla. Lidia, come tutti i prigionieri di Auschwitz, fu liberata nel gennaio del 1945 dai soldati sovietici e fu data in adozione a una famiglia polacca. Visse la sua gioventù immaginando che la madre fosse scomparsa in una marcia della morte. Ma un giorno, nel 1962, qualcuno bussò alla sua porta…

La storia di Lidia, oggi elegante signora ottantenne che vive a Cracovia, fu scoperta per caso da Eleonora, una cronista di un importante quotidiano nazionale, mentre si trovava nel piccolo paese di Introd, in Valle d’Aosta, che negli anni ‘80 e ‘90 Papa Giovanni Paolo II scelse più volte per le vacanze estive. Eleonora, mentre stava lavorando per un servizio giornalistico su Karol Wojtyla e sul suo profondo legame con le montagne, in occasione del centenario della sua  nascita, venne in contatto con l’associazione culturale piemontese Memoria Viva che raccoglie nella sua banca dati decine di storie di sopravvissuti all’Olocausto. Incuriosita, Eleonora ha soffermato la sua attenzione sulla vicenda di Lidia Maksymowicz.

Se dovessi vivere pensando a odio e vendetta farei danno a me stessa e alla mia anima, io sarei quella malata … l’odio ucciderebbe anche me. Il compito che mi sono data sino a quando vivrò è quello di parlare di quanto mi è successo. Soprattutto ai giovani, perché non permettano mai più una cosa del genere”. (Lidia Maksymowicz)